giugullare
il viaggio per cui si parte non è mai il viaggio da cui si ritorna
Sunday, April 30, 2006
Saturday, April 29, 2006
Friday, April 28, 2006
Wednesday, April 26, 2006
Friday, April 21, 2006
Io, Lei e L'altro
E' stato istantaneo. Mi sono voltato di scatto, cercando di trattenere la porta che si stava chiudendo, tagliando fuori la luce del corridoio come un'eclissi, ma non c'è l'ho fatta.
La stanza è piombata nel buio con il click della serratura, e il mondo era fuori.
Ero rimasto li, impietrito, ghiacciato, a pochi centimentri dalla porta, a pochi centimetri dall'interruttore della luce, ma il mio intero corpo cercava di nascondersi dietro la mia anima. Non riuscivo a muovere un muscolo.
Sapevo dov'era l'interruttore, dannazione: lo sapevo e sapevo che era a pochi centimetri da me. Ma c'era il buio tra me e lui, io avrei dovuto tuffare la mia mano in quel mare nero allontanandola dal resto del corpo, cercando a tentoni sul muro, rischiando di toccare-incontrare "qualcosa" che non era l'interruttore; qualcosa che era Lei.
Rabbrividii. No, non potevo farcela, meglio restare immobile per l'eternità.
Magari lei sarebbe andata via.
Invece Lei sospirò: un breve, veloce soffio che arrivò alle mie orecchie mortificato, come un venditore che ha sbagliato indirizzo. Un rumore leggero, che alla luce avrei sicuramente riconosciuto come uno sbuffo del condizionatore troppo vecchio per non avere problemi di gola, ma...non ero alla luce.
Ero immero nella pece.
I miei occhi erano aperti, e li sentivo ruotare inutilmente nell'oscurità: sembravano pesci impazziti in una rete che lentamente viene tirata a galla. Pesci senza speranza.
Lei era li.
Per un attimo mi domandai come sarebbe stato; cosa avrei provato: dolore, agonia, nulla? Scossi la testa con vigore: dovevo ritrovare la calma, la lucidità.
Brutta cosa la paura. Prende alla gola, alla bocca dello stomaco, all'inguine, e si attorciglia attorno alle gambe come un gatto sporco attorno al vestito nuovo. Potevo quasi vedere i suoi peli che restavano appiccicati al tessuto della mia mente.
Scossi ancora la testa, stringendo i pugni. Di solito, stringere i pugni mi da coraggio, sapete? Una volta, quando ero giovane- secoli fa- ho colpito uno in faccia. Un solo pugno, per reazione- non sono mai stato un violento, sia chiaro- e, beh, l'ho steso. Un colpo, uno solo, ed è crollato a terra svenuto.
Un buon sinistro, davvero.
Da allora stringere i pugni nei momenti di crisi mi ha sempre dato una nuova forza, quasi come se in quel modo aprissi la porta ad un Altro. Un Altro sicuro, forte, deciso.
Ma Altro stavolta non arrivava. Sentivo solo le mie dita maledettamente sudate che si abbracciavano tra loro come delle ragazzine terrorizzate.
Dovevo fare qualcosa, dovevo calmarmi.
"Respira profondamente."
Quasi sorrisi. Era ancora dietro la porta, nel profondo, ma Altro stava arrivando.
Respirai. Il primo respiro usci dalla mia bocca come un treno dalla galleria, con un frastuono tale che anche se Lei fosse stata a miliardi di kilometri di distanza avrebbe sentito. E lei era li, a pochi passi da me, nel buio.
Mi ghiacciai, smettendo addirittura di respirare. Restando in attesa dell'attimo in cui Lei avrebbe fatto ciò che sapeva fare meglio. "e' tutto così meledettamente buio"- pensai quasi piangendo.
"Ragiona.
Se Lei fosse qui ti avrebbe già preso.
No?"
Bravo, Altro! Parlami, parlami, ti prego. Dimmi che è tutto un sogno.
"Non è un sogno. Non è proprio niente di niente.
Adesso rilassati e ascoltami. Apri gli occhi."
Aprii gli occhi quasi di scatto, come due tagliole: nel buio non mi ero neanche accorto di averli serrati. Li aprii, ma la situazione non cambiò di molto.
"Li ho aperti, e adesso?"
"Adesso guardati attorno. Non è completamente buio. Cerca la spia del registratore, quello rotto che non hai mai tempo di far riparare. Cerca il lampeggiare della sveglia. Questa è casa tua, trova le cose famigliari....ah, un'altra cosa: riprendi a respirare."
"si, sisisi, certo, grazie Altro, non ci fossi tu!" L'aria rientrò nei miei polmoni come un parente rimasto via troppo a lungo. Aguzzai la vista dietro i miei occhiali da talpa- non ero più quello di vent'anni prima- e iniziai a ridisegnare il contorno della mia casa, attraverso quelle stelle polari che brillavano tra i miei elettrodomestici.
Registratore..eccolo! Luce blu. Laggiù, sulla destra.
Quasi per magia, il buio sulla parete dov'era il registratore sembrò rischiararsi un pochino, ritirandosi quasi come una lumaca impaurita. E quella parete ridivenne mia.
Sveglia. Sveglia sveglia, dovrebbe essere sulla sinistra del registratore...eccola la.
E due.
Man mano che riconoscevo quelle luci ammiccanti, ricostruivo la camera come un puzzle per bambini: un timido sorriso si affacciò sulle mie labbra. Altro ghignava soddisfatto.
Quello è il televisore.
Mmm, ecco là il telefono da tavolo.
Sentivo il sangue che ricominciava a fluire con una certa professionalità nelle mie vene.
Il lettore dvd. Il caricabatterie del cellulare. Lo zampirone, l'interruttore del condizionatore. Bene!
La camera stava decisamente acquistando le giuste proporzioni nella mia mente.
Lo stereo, mmm, lo stereo.
Aguzzai un po di più la vista. Lo stereo avrebbe dovuto essere in fondo, tra il condizionatore e il dvd. Avanti, dov'è la tua luc-
Emisi un gemito. Le ginocchia stavano per cedermi: se non ci fosse stato Altro, pronto a sostenermi, sarei svenuto sul pavimento. Sentii la fronte imperlarsi di sudore freddo con una tale velocità che quasi le gocce schizzarono fuori.
Sentivo la voce di Altro che parlava, che cercava di calmarmi, ma dentro di me saliva un urlo enorme, doloroso e assoluto. Lei era là, tra la mia vista e la luce dello stereo.
Potevo vederla, semi accovacciata, informe eppure al contempo così "chiara" con le sue braccia quasi appoggiate a terra: come un centometrista pronto allo scatto.
Sentii il cuore perdere il tempo delle battute, quasi si fosse inciampato e stesse accorciando il passo per riprendere l'equlibrio.
Sarebbe andata così, alla fine.
Guardai Lei con un minimo di dignità. La fissai nella sua stessa oscurità, aspettando che, infine, arrivasse.
"--la sento!"
"Già la sento!"
Altro continuava a gridarmi nelle orecchie. Io, acquistata la calma della rassegnazione, tornai a concentrami sulle sue grida, più che altro per farlo smettere. Ormai era finita.
"gialasentooo!"
"Calmati, Altro. é tutto a posto."
"GIALASENTOOOOO, IDIOTA!"
"la sento anch'io, non importa. grazie di tutto, Altro. Grazie davvero."
"GIALAVENTOOOO, DEFICIENTE: GUARDA MEGLIO, RAZZA DI STUPIDO VECCHIO RINCOGLIONITO!"
"eh? cosa devo guardare meglio?"
"GIACCAVENTO, RIMBAMBITO! E' SOLO LA TUA FOTTUTISSIMA GIACCAVENTO SU UNA SEDIA. E ADESSO VEDI DI CALMARE QUEL CAZZO DI CUORE PRIMA CHE FACCIA VENIRE UN COLPO AD ENTRAMBI!"
Giaccavento? Quale giacc-occazzo!
Guardai meglio, strinsi gli occhi fin quasi a spremerli fuori dalle orbite come due limoni ormai secchi, e finalmente vidi. La mia vecchia giaccavento, appoggiata allo schienale della mia poltrona, tra me e lo stereo.
Il cuore mi mandò affanculo per lo spavento che gli avevo fatto prendere.
Altro mi mando affanculo e basta.
Il sudore freddo continuava a stazionare sulla mia fronte- si era goduto tutto lo spettacolo e non voleva ancora lasciare la sala- ma il peggio era passato.
Sentii la brava, vecchia macchinetta nel mio petto riprendere il giusto ritmo e ricominciare a tamburellare sonnolenta. Sentii i miei muscoli rilassarsi, distendersi mentre le dita delle mie mani si schiudevano timidamente. Sentii anche Altro che, ancora bestemmiante, si ritirava nei "suoi alloggi" svanendo dentro di me. (e sbattendosi la porta alle spalle).
Respirai profondamente, mentre un sorriso vergognato sbocciava tra le rughe della mia faccia.
Ottantaquattro anni. Ottantaquattro anni e ti fai fregare dalla tua giaccavento.
Il sorrio si allargò sul volto accumulando rughe ai lati come uno spartineve.
Allungai la mano senza nemmeno voltarmi verso l'interruttore e accesi anche quella sera la luce.
O meglio: allungai la mano e tastai il muro in cerca dell'interruttore, ma le mie dita non trovarono la liscia plastica del pultante.
Toccarono invece qualcosa di ruvido, umido e freddo; toccarono qualcosa di Lei.
E mentre sentivo Altro correre disperatamente per tornare indietro, a salvarmi, lei mi fu addosso.
In un attimo.
equilibrum
Thursday, April 20, 2006
Tuesday, April 18, 2006
vorrei volare
vorrei volare, svanire via
un punto fermo all'orizzonte
mentre il sole brucia occhi e mente
vorrei volare, su tutto ciò che è stato
e lo so, per te sarò solo ingrato
ma vorrei tagliare ogni singolo ponte
guarda, che bello è quell'orizzonte
vorrei volare, cavalcare i venti
con i sogni in alto ballando lenti
vorrei volare, nella calda brezza lieve
sciogliere il passato come fosse neve
vorrei volare, ma non ho ali
ho denti aguzzi, cattivi come squali
ho occhi strani, fatti per vedere
solo i colori che dio lascia cadere
ho grandi dolori, compagni di notte
e qualche piccolo sogno chiuso nella botte
ma non ho ali, non posso volare
e resto qui, fermo, ad aspettare
perche nessuno, ho capito, usa le sue ali
non lo può fare, deve trovarne altre uguali
e donare le proprie a chi lo farà volare
solo così, ho capito, può funzionare
e così resto fermo ad aspettare
mentre almeno la sera prova a decollare
Monday, April 17, 2006
Friday, April 14, 2006
in memoria di un drago
il dolore quasi dormiva, assente
ma c'era
Il mio drago non volava
Mi guardava il vecchio volto scuro
al suo occhio ero lo spergiuro
Il traditore, il cavaliere errante
che sapeva raccontar fiabe, ma distante
Il mio drago piangeva
UN suono lento, rappreso tra i denti
Pugnalato da pensieri, troppo coerenti
Usciva dalla sua bocca al posto del fuoco
mentre io ripetevo che tutto era un gioco
Che le cose importanti non erano storie
di armature forgiate per grandi vittorie
contro il male estremo, nemico imperante
ma uno stipendio, molto più importante
il mio drago tremava
era grande come un monte di pietra dura
forte da impaurire la stessa paura
Ma non tremava per dolore o per sorte
vedeva soltanto dei miei sogni la morte
E io cercavo di portarlo sulla retta via
perlandogli di doveri, adulti, filosofia
Non lo accarezzavo, se non con la ragione
Per farlo crescere, uomo tra piccole persone
E non mi accorgevo del mio enorme errore
ero cieco ad ogni richiamo del cuore
Ero tutto mente, per esser maturo
per insegnargli la vita, dargli un futuro
Il mio drago svaniva
Mi guardò un ultima volta, senza giudizio
io lo guardai, cadendo nel precipizio
Guardai quel vecchio volto, che avevo amato
maledicendolo, perchè non aveva capito
E il mio drago pianse, gridando il suo amore
Svandendo poco a poco, nel mio furore
Svanì guardandomi per l'ultima volta in viso
e con lui svanì il bambino che l'uomo aveva ucciso
Micky Okkidolci
Anche il fatto che quegli occhi bellissimi fossero messi in risalto dalla candida, immacolata pelliccia che ricopriva tutto il suo muso, come il resto del suo minuscolo corpo, non destava particolare interesse in lui.
D’altronde Micky Occhidolci era un topo. Una cavia da laboratorio e, anche se svolgeva più che egregiamente il suo lavoro, ne era consapevole quanto lo è un politico del proprio programma elettorale.
La vita di Micky Occhidolci ruotava attorno a due o tre regole fisse che gli calzavano a pennello e che lo avevano salvato da tante crisi di nervi nei confronti dei "grandi" che pungevano.
Se qualcosa di brutto succedeva attorno a lui cercava di allontanarsi; se qualcosa di bello succedeva attorno a lui cercava di avvicinarsi; se non succedeva niente non c’era motivo di cercare o di muoversi.
Infine: se non poteva muoversi, allora era meglio far finta che non stesse succedendo niente.
Quelle regole di vita, forse un po’ troppo lineari per i filosofi ma adattissime per tirare avanti, lo avevano accompagnato fin da quando aveva incominciato a capire il mondo.
Qualunque "cosa" lui fosse, era un dato di fatto che i "grandi" erano più grossi di lui e- quindi- che potevano fare quello che volevano molto più di lui.
Compreso il dargli del cibo.
E il bello era che glielo davando davvero, il cibo. Se a loro andava bene così, non sarebbe stato certo lui a cambiare le regole.
Micky Occhidolci non ci pensava neanche.
.
Quelle regole di vita gli erano state vicine durante la prima puntura che gli avevano fatto, durante il primo labirinto che aveva superato a colpi di scosse elettriche, durante ogni appetitoso pranzetto che gli veniva offerto. Lo avevano anche aiutato durante i suoi traslochi da un laboratorio all’altro, calma e tranquilla palla di pelo rimbalzata di gabbia in gabbia.
Beh, ad onor del vero, quest’ultimo passaggio ad una nuova prigione non lo aveva apprezzato particolarmente: troppi pochi labirinti e troppe punture; in più recentemente incominciava a invecchiare e non si sentiva esattamente in forma.
Una volta appurati questi fatti, però, Micky Occhidolci li aveva accettati tranquillamente.
Tanto poteva cambiarli? No.
Le sue regole gli erano anche vicine in adesso, mentre la temperatura si alzava veramente un po’ troppo e il fuoco serpeggiava allegramente nel laboratorio. Aveva visto l’esplosione, dall’altro lato della grande stanza, e vedere i "grandi" sbalzati contro il muro come mosche in balia del vento non gli era particolarmente piaciuto: quella poteva essere la classica situazione spiacevole da cui cercare di allontanarsi.
Dopo i primi, dubbiosi tentativi, aveva però accettato che la gabbia in vetro godeva invece di ottima salute e non aveva nessuna voglia di lasciarlo uscire, nemmeno per sbaglio.
Ergo, tanto valeva starsene tranquillo.
Il suo autocontrollo era stato messo duramente a prova quando una serie di piccole esplosioni più vicine avevano cadere la sua gabbia a terra, rompendola.
Micky Occhidolci aveva valutato la nuova situazione: se nella caduta si era fatto qualche piccolo taglio, la gabbia si era fatta più male di lui e adesso sembrava molto più propensa a concedergli la libertà.
Micky uscì.
Il fuoco non era piacevole neanche da lontano e l’aria era decisamente irrespirabile: le sue regole di vita non impiegarono molto a suggerirgli caldamente (molto caldamente) di allontanarsi.
Il topolino incominciò a scorrazzare cercando una via di fuga: accanto a lui altri animali di varia natura stavano cercando di fare più o meno la stessa cosa, più o meno nello stesso modo.
Lo sguardo di Micky fu rapito per un attimo dalla pittoresca, luminosa visione di una scimmia in fiamme che saltava fuori da una finestra rotta.
Lui da là non sarebbe mai uscito, quindi tanto valeva cercare altrove. Possibilmente in fretta e lontano dal fuoco che, piuttosto velocemente, si stava mangiando tutto lo spazio a disposizione.
La salvezza la trovò qualche stanza più il là: i detriti avevano creato una rudimentale rampa che permetteva anche a un essere della sua stazza di arrivare a una benedetta finestra.
Micky Occhidolci corse il più agilmente possibile tra fumo, schegge e fiamme, finchè l’edificio infuocato non fu solo un vago ricordo alle proprie spalle.
Ora, anche se la memoria dei topi non è quella degli elefanti, Micky corse abbastanza a lungo prima di riuscire a trasformare quel "calore", che aveva addosso ai peli bruciacchiati, in un vago ricordo.
Fermatosi, il topo crollò stremato a terra senza poter credere a quanto gli stava succedendo. Tutto il suo corpo tremava e si rifiutava di reggerlo in piedi. La testa gli girava vorticosamente mentre uno strano senso di nausea si sommava a un netto rifiuto dei polmoni di compiere doverosamente il loro lavoro.
La vecchiaia, maledetta vecchiaia- pensò vagamente Micky- La vecchiaia e quei tagli che adesso cominciavano a farsi sentire.
Ancora una volta, le sue regole corsero al suo capezzale: poteva muoversi? No: allora tanto valeva stare fermo e aspettare.
Micky non seppe mai quanto tempo aspettò, tra dormiveglia e sogni bui: i topi non sono particolarmente famosi per la loro abilità nel quantificare il passaggio del tempo. Fatto sta che,a un certo punto, sentì due mani afferrarlo con dolcezza e alzarlo da terra.
Micky non si fermò in considerazioni del tipo "troppo tardi" o "troppo presto": respirava ancora? Si. Allora era trascorso il tempo giusto: ne più, ne meno.
Il resto è filosofia.
Il topo, visto che poteva ancora farlo, aprì gli occhi e vide il "grande" più piccolo che avesse mai visto; vide anche che non avrebbe potuto liberarsi dal suo abbraccio e ricominciò ad aspettare.
Con un sospiro.
Adesso Micky stava decisamente meglio (per la cronaca erano passati tre giorni da quando il piccolo grande lo aveva trovato): aveva sempre dei problemi e i giramenti di testa non volevano abbandonarlo, ma i nuovi "grandi" gli avevano ridato una gabbia, del cibo tutti i giorni.
In più quando lo tiravano fuori non gli facevano più punture, lo accarezzavano soltanto... E anche quest’ultima cosa era notevolmente piacevole.
Il "grande" piccolo, che gli altri "grandi" chiamavano Manu, era poi particolarmente simpatico: quando lo tirava fuori Lo pettinava, lo baciava sul naso umido e lo strofinava con la propria testolina rosa. Davvero divertente.
Si: Micky era veramente soddisfatto di questa sua nuova collocazione e sperava proprio di poterci restare a lungo, possibilmente per tutta la vita.
Quello che Micky Occhidolci non sapeva era che non sarebbe rimasto li ancora per molto anche se, per dargli almeno in parte ragione, ci sarebbe rimasto comunque per tutta la vita.
I suoi giramenti di testa, tutti i suoi acciacchi che ultimamente provava, non erano dovuti alla vecchiaia. Micky Occhidolci, nel suo ultimo trasloco al laboratorio, quello pieno di punture e pochi labirinti, aveva fatto la cavia nel reparto farmaceutico malattie infettive.
Micky Occhidolci aveva la peste.
nella neve
Tutto intorno splende il sole
La gente passa, fresca e lieve
Piango lento, nella neve
Vorrei gridare, avere spade
Grandi draghi, verdi e neri
Mille storie, mille strade
Un destino nato ieri
Vorrei vita come fiumi
Forte e fresca, mentre corre
Invece attorno, solo fumi
Sono Resti di mie guerre
Piango lento, sulla neve
Tutto attorno splende il sole
La gente passa, fresca e lieve
Ghiaccia il freddo, nella neve
Mi disse amore, la vita stessa
Mi disse ama, la prima legge
Vidi forse incenso, nella messa
Mentre la pecora lasciava il gregge
Una nenia dolce sfiorava il vento
Mentre altra neve copriva il pianto
Coperto e morto, io non sento
La vita che canta lo stesso canto
Piango lento, nella neve
Tutto attorno splende il sole
La gente passa, fresca e lieve
Io muoio, nella neve
La neve cade, senza amore
Copre tutto, anche il cuore
Copre la tracce di un cammino
cancella tracce e sogni da bambino
Piango lento nella neve
Tutto intorno splende il sole
Non c’è gente, non c’è niente
solo la vita che ammaina vele
ola toro
Si tuffa ciò che è stato
C’è perdono, c’è vendetta
C’è la morte maledetta
Dal fischio di quel treno
Dalle lacrime senza freno
Da regge e vecchie stalle
E da stelle franate a valle
Hola toro, insegui il rosso
Morirai in fondo a un fosso
Fiero della terra smossa
che non si accorge della percossa
Che resta ferma, immota
Che non odia, e resta vuota
egli
E non venne neanche un cane
Fissò perplesso quelle mani
vabbè, Ci avrebbe riprovato domani
Nessun rimpianto, nessun rancore
Lui l’aveva fatto con tutto il cuore
Se nessuno l’aveva capito, in fondo
L’avrebbero capito in un altro mondo
nella sfera
Volavo nella nebbia, nella sfera
Toccando i fiocchi, neve vera
Una strana luce, mista ad ombra
Rendeva quel cielo, ambra
Volavo, la casa in basso
Era piccola, solo un sasso
Una luce, forava il vetro
Tra la finestra ed il segreto
Volavo, nessuno sbaglio
Il mondo intero dava il meglio
certo, se Visto da quest’altezza
Anche l’errore sembrava bellezza
Tre cime di pini puntate al cielo
Tre frecce contro un unico velo
E nacque così, senza pensiero
L’idea di arrivare al vero
Volai in alto, oltre la neve
Oltre tutto, oltre la brezza lieve
Cercando una meta da scoprire
La risposta vera al partire
L’urto fu duro, senza rispetto
L’urto di un sogno, cadendo dal letto
Vetro, solo vetro, attorno al mondo
Vetro trasparente, dall'alto al fondo
Non volo più, nella sfera
Scende la neve, ma non è vera
Resta quella luce strana, mista ad ombra
Ma nulla è vero come sembra
Non volo più nella sfera
resto fermo, nella sera
Eterna, sommersa d’ombra
Forse troppo, è ciò che sembra
Wednesday, April 12, 2006
Monday, April 10, 2006
acqua
Dal ghiaccio notturno infranto
Come lacrime avvolse
La terra, il suo stanco manto
L’acqua limpida divenne fonte
Tra la pietra e la terra dura
Come risa scese il monte
Tra ponti vecchi di paura
La bocca bevve avidamente
L’acqua limpida scesa a valle
E l’acqua divenne gente
Tra il fieno caldo delle stalle
Il sudore bruciò la fronte
Su quella terra piatta e scura
Così lontana, giù dal monte
Dalla vetta mai sicura
Il sole reclamò il suo pegno
Di perle d’acqua sulla pelle
Da portare nel suo regno
Per confondere le stelle
Il sogno salì triste al cielo
gonfio di lacrime e di pianto
le nuvole l'avvolsero come un velo
la pioggia lo trasformò in canto
Per il cielo è quasi sempre in basso
ciò che è alto per la gente
e l'acqua tremò baciando il sasso
laggiù, sulla cima di quel monte
E la storia riprese ancora
l'anima dell'acqua per farne ghiaccio
tre
Volava lento sopra la morte
Una scena poco credibile
Pensava più in basso la sorte
L’uomo camminava, più giù ancora
Pieno di pensieri, la vita è dura
La sorte arrivò nel giro d’un’ora
Ancora incerta su quale avventura
Preparò tutto, perfettamente
Per quell’uomo ancora distante
Così perso nella propria mente
Tutto sarebbe durato un istante
Ma ecco la morte piantarsi a terra
Tra l’uomo e il suo destino
Poche storie, la guerra è guerra
E poi gli sono sempre più vicino
Ma che diavolo, gridò la sorte
Lo visto prima io quel cretino
Levati dai piedi, sorella morte
Ho già segnato il suo cammino
La falce rise come un quarto di luna
La morte ruttò tutto il suo disprezzo
Senti un po’, sorella fortuna
Che ne dici di levarti di mezzo?
Quando arrivo io tu non hai più senso
Niente più vita, niente più sorte
Questo è quello che penso
È poi, io sono più forte
L’uomo avanzava, ignaro di tutto
La lama brillava, vicino alla pelle
La morte rideva, vestita a lutto
Poi il dio scese da sopra le stelle
Vestito d’onore, vestito a festa
Dio scese tra la vita e la morte
E questo, cosa si è messo in testa?
Pensò la falce senza dirlo forte
Dopotutto era Dio, quello
Meglio star calmi, non scuotere le porte
Anche se arrivava sempre sul più bello
Meglio tacere e prendersela con la sorte
Dio guardò l’uomo, attento
Poi prese la lama tra le dita
Soffiò, la morte si perse nel vento
L’uomo fece un altro passo nella vita
La sorte guardava tutto, distante
Quando arrivò, inattesa, la verità
E la colpì con la forza d’un gigante
E la giovane allegria della vanità
Sopra il Dio, dalla sua testa
Fili trasparenti come il domani
Salivano su a far festa
tra un burattinaio e le sue mani
il vuoto presente
Mi riempie
Mi colma lento
E Dio più non sento
Solo come il tempo
Coltivo nel mio campo
Quanti semi, quanti
Tutti in riga come fanti
Cresceranno al mio comando
O moriranno sai provando
Quanto potere ho davvero
Nel mio piccolo cimitero
Spegni la luce e vieni a dormire
Non c’è mai niente da capire
Nessun saggio all’orizzonte
E le nostre vite in piedi al fronte
Credimi basta anche il respiro
Se l'amore non da sospiro
Spegni tutto e vieni a letto
Quel che siamo farà da tetto
E non ci crollerà neanche addosso
È troppo duro e troppo spesso
è anche pesante, anche solo
per prendere davvero il volo
Nessuno crede alle leggende
Vedi nessuno che se la prende?
Non c’è il sole nel focolare
E nessun colpevole a cui sparare
Per la meschinità di una vita intera
Che in più arriva presto a sera
Quando tu hai ancora troppa paura
Che da là sia ancora più dura
anima buia
Arriva, lesto
Arriva, marcio e guasto
Senti il sapore? È questo.
Buio, nasconditi sotto
Non pregare!, ti sente il ratto
Stringi le ginocchia sotto il mento
Arriva, arriva, stai attento
Non urlare, non esagerare
Non è così guasto da impazzire
Basta non guardare
Chiudi gli occhi, non pregare!
Geme, giace, luce, più luce
Non doveva essere così veloce
Quel guasto feroce
Fiume marcio senza foce
Ohh, però scorre, non dubitare
Arriva, scende, viene dal mare
entra ovunque, basta aspettare
l’attimo giusto, quando gridare
senti il respiro, quello graffiante
bene, tranquillo, non c’entra niente
lui non respira neanche lontanamente
e lei non è viva, solo presente
buio, buio accecante
vedi, ottenebra la mente
il sonno accogli, gentilmente
l’ospite, ormai, è imminente
Friday, April 07, 2006
frutta
Non ha un sapore molto invitante la frutta di fine inverno...
Ho deciso come interpretare questo blog: è la mia isola da cui lanciare bottiglie e messaggi nel mare. Le onde della rete da qualche parte porteranno anche i miei cocci di vetro.
se state leggendo questo, la corrente è arrivata fino a voi, o voi vi ci siete lasciatri trascinare dentro, ben venga.
benvenuti nel mio spazio di "nulla in abito da festa".
p.s.
lo smoking non è d'obbligo
Wednesday, April 05, 2006
la verità
Scivola come burro sulla città
Burro fuso al chiaro di luna
Che cola piano, senza fortuna
Raggiunge i vetri, questa sera
Si appiccica sopra, come cera
"Lei è la solita, vecchia storia"
Ripete piano, la sai a memoria
La verità si poi fa sottile
Gracchia piano, vecchio vinile
Sprofonda molle sopra il banco
Sprofondo anch’io, all’improvviso stanco
S’allunga la verità fumosa
Volute bianche, come una sposa
Raggiunge il bicchiere, il cuore
Vuoto lo spirito, pieno il sapore
La verità è voce e tempesta
Insetto noioso dentro la testa
Nemico inatteso apparso alla festa
La verità alla fine è tutto ciò che resta
senza titolo
Come è vuoto il mondo senza te
È vuoto, e non c’è un perché
Solo, non ci sei tu
e faccio fatica a tener tutto su
Ballo solo, non è un gran che
Tu balli sola, non cerchi me
Cambiano i musici, la musica resta
Non riesco a farti lasciare la mia testa
Ballano fuori, adesso esco
Meglio coprirsi, il ricordo è fresco
Torno in casa, fuori solo gente
Nessuno di loro nella mia mente
In silenzio ti penso, spengo il fuoco
Questo amore non era un gioco
l'angelo volava
Sui pensieri della gente
L’ombra cadeva
Dove il peccatore si pente
L’angelo era bella
Lo vide prima una bambina
E le sembrò una stella
Che fioriva nella mattina
L’angelo volava
La videro tante persone
C’era chi guardava
Chi lanciava una maledizione
L’angelo non sapeva
Cosa stava succedendo sotto
Se sapeva, taceva
E divenne un maledetto
Non si cura di noi
Protestarono in molti
Vola, vola, ma poi?
L’ira dipinse i loro volti
Parla angelo, avanti
Gridarono delle bambine
non vuoi parlare? Dissero in tanti
Prendete le carabine!
E all’angelo spararono
Piombo e sale senza rispetto
Lui sorrise, loro gridarono
Nessuna ferita nel suo petto
L’angelo adesso vola
Sopra il disinteresse
Non è una cosa nuova
La gente saggia scrisse
la vela bianca
Alla ricerca dell’acqua pura
Quell’acqua che è finita
Nel mio reame di terra dura
Vola, la vela bianca
Verso il suo orizzonte
Mentre cade la sera stanca
Sulle rughe della mia fronte
Resta, la vela nera
Nell’acqua scura del mio porto
Sconfitto, l’equipaggio spera
Ma il capitano dentro è morto
Quanto costano le promesse
Fatte in questo mare mosso
Di risacche e frasi smesse
E di amori in fondo a un fosso
La vela bianca è partita
Glielo promesso io
Liberate quindi ogni uscita
la vela bianca non è più affar mio
Nessuna vela nera mai
Partirà per l'inseguimento
L’unico mio veliero, ormai
Sarà questo strano vento
Lo ascolterò ogni sera
Per sentire il suo profumo
per ricordarmi chi c’era
prima che il mondo andasse in fumo
MI racconterà la sua voce
Mi illuderà sul suo cuore
E se il futuro sarà feroce
quel vento sussurrerà l’amore
Che tanto avrei voluto
Io, naufrago che il silenzio affianca
Nel bacio, nell’ultimo saluto
Alla regina della vela bianca
filastrocca per un bambino
Restare fermi sotto il sole
Accarezzare le tue braccia
Bere alla stessa borraccia
Sulla montagna più alta
Sai, C’era una volta…
Guardarti nella luce soffusa
Coccolare un gatto fino alle fusa
Intrecciare la mano nei tuoi capelli
Sentirti dire "quelli erano belli"
Parlando di vecchi film in tv
E il nome di quell’attore che non c’è più
Contare fino a cento un numero io, uno tu
Solo per stare insieme, niente di più
Spegnere candeline, gustare felicità
Nel futuro che viene, nel tempo che va
Sentire l’eco dei tuoi passi
Far saltare nell’acqua i sassi
Guardare insieme la notte d’estate
Raccontarti fiabe vere di fate
Efrem, Magda, e altri eroi
Efrem Magda, ovunque noi
Spegnere la luce e averti vicino
Trovarti accanto quando la riaccende il mattino
Vederti confusa e emozionata
Sentirti cantare: ammettilo sei stonata
Dirti ti amo, sentirti sentirlo
Ascoltarti, mentre mi chiedi di dirlo
Vederti con i capelli lunghi
Ring, l’anello dei nibelunghi
vederti con i capelli bianchi
Dio, quanto mi manchi
Vederti, averti, amarti
Sentirti, toccarti, amarti
Sognarti
Danzare un lento senza fine
Mentre le rose perdono le spine
Baciarti prima di dormire
Continuare fino a sognare
Saperti nell’altra stanza
Saperti mia speranza
Fare un castello sulla sabbia
Stringerti forte nella nebbia
Scaldarti dal freddo con me stesso
Tra un anno, domani, adesso
Ma non posso
Non ci sei, non posso.
Non sono con te, non posso
Non sono in te, non posso
Sii felice, Cucciolo
Stupenda,
dolce coccodrillo
piccola stella
non sei senza cielo
hai un cielo intero
appena oltre il mio velo
in cui volare per davvero
lontano
dalla mia presenza ormai vuota
dalla mia mano ormai spenta
gira, gira la ruota
e la vita si ripresenta
il tuo amore
Li vedo parlare
Grandi, immensi specchi
Di tutto ciò che è amare
Sento il tuo respiro
Accanto al mio pensiero
È come un piccolo faro
Sopra un piccolo mare nero
Il tuo amore fatto di attesa
Silenzio, luce e cortesie
Quasi fosse una dolce resa
ad Un vecchio libro di poesie
Il tuo amore fatto di sorpresa
Che disegna voli e fantasie
Cieli con la luna gialla appesa
E farfalle in fotografie
E il tendone del circo si muove
Rotolando su frasi gialle e rosse
Inventando storie sempre nuove
E ripetendo vecchie mosse
Degne di un grande attore
Perso nel suo grande specchio
Così e questo tuo amore
Che brontola come un vecchio
Perché tutto non è perfetto
i riflettori non sono al loro posto
il copione nessuno l’ha letto
ma tutti vogliono dire cos’è giusto
e tu mi chiedi cosa vorrei
cosa tu non hai che invece ha lei
mi dici di crescere, prender decisioni
che non tutte le frasi nascono per essere canzoni
io vorrei un amore ancora bambino
che piange e ride in un istante
distratto dal solletico del destino
o dalla libertà di un tramonto distante
mai
Al mattino io
Il corpo tuo, sai
Accanto al mio
Non sveglierò mai
Con un bacio lento
quegli occhi tuoi
tristi come il tempo
Non assaggerò mai
La dolce bocca tua
Non l’amerò mai
Resterà per sempre sua
Non te lo dirò mai
Mio segreto fiore
E tu non lo saprai
D’esser sorto nel mio cuore
Arrivarono i poeti
Prima ci fu il fuoco
Quando tutto fu bruciato
Si disse, che peccato
E arrivarono i poeti
Promettendosi profeti
promisero sbocciar di cuori
Piantando semi futuri fiori
Parlarono di nuova, vera vita
Incrociando belle, pallide dita
Perché, dissero convinti
Ciò che separa perdenti da vinti
È un po’ di sano cinismo
Utilizzato con poetico tempismo
Arrivarono i poeti
Senza dio, ma come preti
Aprite il vostro cuore
Svelate il dolce dolore
Forse nel peccato non c’è poesia?
Allora forza, che volete che sia
Confessate, che maturate
Confessate gente, confessate
Arrivarono i profeti
e Fummo tutti quanti lieti
Con un mondo in rovina
E nessuna moglie in cucina
Le loro parole erano guanti
Con cui carezzare i nostri pianti
I loro versi fulgide stelle
per illuminare le nostre stalle
le nostre giornate buie senza scopo
se non dar la caccia a qualche topo
tra le macerie di un’esistenza
fatta di tanta fame e poca coerenza
arrivarono i poeti
e, ribadisco, fummo lieti
li mangiammo lentamente
ringraziando forte il dio vivente
Per quella loro presenza piena
nella nostra ultima cena
solo un ramo
Caddero una a una lente e spoglie
Di ogni interesse passato o futuro
Caddero giù e il suolo era duro
Il ramo spezzato continuò a sperare
Che ci fosse qualcosa da salvare
Lottò contro il vento ancora convinto
E credette anche che tutto fosse finto
Quando il vento infine andò via
arrivò al suo posto la malinconia
Per tutto quello che era stato
E che ora era passato
Si arrabbiò, allora, il povero ramo
Cadrò a terra, e poi vedremo
Chiamò il vento, che tornasse
Sarebbe caduto, fosse quel che fosse
Ma il vento gli rise in faccia
Buffone, sei una delle braccia
Credi di avere in mano la vita
Guardati attorno, non è finita
il ramo alzò lo sguardo stanco
Vide il vecchio, ruvido tronco
Non capì niente, ma cedette
e Restò li, a meditar vendette
un ramo è solo un ramo in fondo
non vedrà mai al di la del suo mondo
non confondete un ramo con un tronco vero
si schianterà nell'odio più sincero
re del mio castello
Che balla dentro me
Si muove sicuro
Nel castello che non c’è
Vola nelle stanze vuote
Su un cavallo rosso
I suoi zoccoli sono note
Il mio trono è solo un fosso
Sono il re dell'inutile castello
Ho uno scettro fatto di pianto
Di tristezza il mio mantello
Nel silenzio, il mio canto
Mi alzo, nell’eco di me stesso
Non c’è più nessuno a corte
Sai, me ne dimentico spesso
Ho una regina soltanto nelle carte
Ho tolto ogni specchio
Nel silenzio che rideva
Non velevo vedere il vecchio
E il silenzio lo sapeva
A volte arrivo anche alla finestra
Il mio stupido mantello addosso
Ma il mondo gira come una giostra
Meglio tornare nel mio fosso
Nel buio della sala e del trono
Tra angoli neri, arazzi e ricordi
Provo ancora a descrivere il suono
Del tuo cuore, a muri ormai sordi
Ma l’unico che ascolta è uno spettro
Perso anche lui dentro il castello
Prima lo colpivo con il mio scettro
Ora ci raccontiamo com’era bello
Quando la donna amata, la regina
Riempiva queste stanze di profumo
Incantando la corte ogni mattina
Quella corte, ora fango e fumo
di questo posto sono l’unico re
I silenzi l’unica mia corte
Nel mio bel castello che non c’è
solo chi non c'è trova le porte.