Micky Okkidolci
Micky Occhidolci non capiva granchè di cosa volessero significare quegli strani suoni con cui i "grandi" si riferivano a lui. Il fatto che avesse due occhi nerissimi, profondi e tristi, di quelli che fanno generalmente impazzire il sesso debole, non lo preoccupava ne lo interessava più di tanto.
Anche il fatto che quegli occhi bellissimi fossero messi in risalto dalla candida, immacolata pelliccia che ricopriva tutto il suo muso, come il resto del suo minuscolo corpo, non destava particolare interesse in lui.
D’altronde Micky Occhidolci era un topo. Una cavia da laboratorio e, anche se svolgeva più che egregiamente il suo lavoro, ne era consapevole quanto lo è un politico del proprio programma elettorale.
La vita di Micky Occhidolci ruotava attorno a due o tre regole fisse che gli calzavano a pennello e che lo avevano salvato da tante crisi di nervi nei confronti dei "grandi" che pungevano.
Se qualcosa di brutto succedeva attorno a lui cercava di allontanarsi; se qualcosa di bello succedeva attorno a lui cercava di avvicinarsi; se non succedeva niente non c’era motivo di cercare o di muoversi.
Infine: se non poteva muoversi, allora era meglio far finta che non stesse succedendo niente.
Quelle regole di vita, forse un po’ troppo lineari per i filosofi ma adattissime per tirare avanti, lo avevano accompagnato fin da quando aveva incominciato a capire il mondo.
Qualunque "cosa" lui fosse, era un dato di fatto che i "grandi" erano più grossi di lui e- quindi- che potevano fare quello che volevano molto più di lui.
Compreso il dargli del cibo.
E il bello era che glielo davando davvero, il cibo. Se a loro andava bene così, non sarebbe stato certo lui a cambiare le regole.
Micky Occhidolci non ci pensava neanche.
.
Quelle regole di vita gli erano state vicine durante la prima puntura che gli avevano fatto, durante il primo labirinto che aveva superato a colpi di scosse elettriche, durante ogni appetitoso pranzetto che gli veniva offerto. Lo avevano anche aiutato durante i suoi traslochi da un laboratorio all’altro, calma e tranquilla palla di pelo rimbalzata di gabbia in gabbia.
Beh, ad onor del vero, quest’ultimo passaggio ad una nuova prigione non lo aveva apprezzato particolarmente: troppi pochi labirinti e troppe punture; in più recentemente incominciava a invecchiare e non si sentiva esattamente in forma.
Una volta appurati questi fatti, però, Micky Occhidolci li aveva accettati tranquillamente.
Tanto poteva cambiarli? No.
Le sue regole gli erano anche vicine in adesso, mentre la temperatura si alzava veramente un po’ troppo e il fuoco serpeggiava allegramente nel laboratorio. Aveva visto l’esplosione, dall’altro lato della grande stanza, e vedere i "grandi" sbalzati contro il muro come mosche in balia del vento non gli era particolarmente piaciuto: quella poteva essere la classica situazione spiacevole da cui cercare di allontanarsi.
Dopo i primi, dubbiosi tentativi, aveva però accettato che la gabbia in vetro godeva invece di ottima salute e non aveva nessuna voglia di lasciarlo uscire, nemmeno per sbaglio.
Ergo, tanto valeva starsene tranquillo.
Il suo autocontrollo era stato messo duramente a prova quando una serie di piccole esplosioni più vicine avevano cadere la sua gabbia a terra, rompendola.
Micky Occhidolci aveva valutato la nuova situazione: se nella caduta si era fatto qualche piccolo taglio, la gabbia si era fatta più male di lui e adesso sembrava molto più propensa a concedergli la libertà.
Micky uscì.
Il fuoco non era piacevole neanche da lontano e l’aria era decisamente irrespirabile: le sue regole di vita non impiegarono molto a suggerirgli caldamente (molto caldamente) di allontanarsi.
Il topolino incominciò a scorrazzare cercando una via di fuga: accanto a lui altri animali di varia natura stavano cercando di fare più o meno la stessa cosa, più o meno nello stesso modo.
Lo sguardo di Micky fu rapito per un attimo dalla pittoresca, luminosa visione di una scimmia in fiamme che saltava fuori da una finestra rotta.
Lui da là non sarebbe mai uscito, quindi tanto valeva cercare altrove. Possibilmente in fretta e lontano dal fuoco che, piuttosto velocemente, si stava mangiando tutto lo spazio a disposizione.
La salvezza la trovò qualche stanza più il là: i detriti avevano creato una rudimentale rampa che permetteva anche a un essere della sua stazza di arrivare a una benedetta finestra.
Micky Occhidolci corse il più agilmente possibile tra fumo, schegge e fiamme, finchè l’edificio infuocato non fu solo un vago ricordo alle proprie spalle.
Ora, anche se la memoria dei topi non è quella degli elefanti, Micky corse abbastanza a lungo prima di riuscire a trasformare quel "calore", che aveva addosso ai peli bruciacchiati, in un vago ricordo.
Fermatosi, il topo crollò stremato a terra senza poter credere a quanto gli stava succedendo. Tutto il suo corpo tremava e si rifiutava di reggerlo in piedi. La testa gli girava vorticosamente mentre uno strano senso di nausea si sommava a un netto rifiuto dei polmoni di compiere doverosamente il loro lavoro.
La vecchiaia, maledetta vecchiaia- pensò vagamente Micky- La vecchiaia e quei tagli che adesso cominciavano a farsi sentire.
Ancora una volta, le sue regole corsero al suo capezzale: poteva muoversi? No: allora tanto valeva stare fermo e aspettare.
Micky non seppe mai quanto tempo aspettò, tra dormiveglia e sogni bui: i topi non sono particolarmente famosi per la loro abilità nel quantificare il passaggio del tempo. Fatto sta che,a un certo punto, sentì due mani afferrarlo con dolcezza e alzarlo da terra.
Micky non si fermò in considerazioni del tipo "troppo tardi" o "troppo presto": respirava ancora? Si. Allora era trascorso il tempo giusto: ne più, ne meno.
Il resto è filosofia.
Il topo, visto che poteva ancora farlo, aprì gli occhi e vide il "grande" più piccolo che avesse mai visto; vide anche che non avrebbe potuto liberarsi dal suo abbraccio e ricominciò ad aspettare.
Con un sospiro.
Adesso Micky stava decisamente meglio (per la cronaca erano passati tre giorni da quando il piccolo grande lo aveva trovato): aveva sempre dei problemi e i giramenti di testa non volevano abbandonarlo, ma i nuovi "grandi" gli avevano ridato una gabbia, del cibo tutti i giorni.
In più quando lo tiravano fuori non gli facevano più punture, lo accarezzavano soltanto... E anche quest’ultima cosa era notevolmente piacevole.
Il "grande" piccolo, che gli altri "grandi" chiamavano Manu, era poi particolarmente simpatico: quando lo tirava fuori Lo pettinava, lo baciava sul naso umido e lo strofinava con la propria testolina rosa. Davvero divertente.
Si: Micky era veramente soddisfatto di questa sua nuova collocazione e sperava proprio di poterci restare a lungo, possibilmente per tutta la vita.
Quello che Micky Occhidolci non sapeva era che non sarebbe rimasto li ancora per molto anche se, per dargli almeno in parte ragione, ci sarebbe rimasto comunque per tutta la vita.
I suoi giramenti di testa, tutti i suoi acciacchi che ultimamente provava, non erano dovuti alla vecchiaia. Micky Occhidolci, nel suo ultimo trasloco al laboratorio, quello pieno di punture e pochi labirinti, aveva fatto la cavia nel reparto farmaceutico malattie infettive.
Micky Occhidolci aveva la peste.
Anche il fatto che quegli occhi bellissimi fossero messi in risalto dalla candida, immacolata pelliccia che ricopriva tutto il suo muso, come il resto del suo minuscolo corpo, non destava particolare interesse in lui.
D’altronde Micky Occhidolci era un topo. Una cavia da laboratorio e, anche se svolgeva più che egregiamente il suo lavoro, ne era consapevole quanto lo è un politico del proprio programma elettorale.
La vita di Micky Occhidolci ruotava attorno a due o tre regole fisse che gli calzavano a pennello e che lo avevano salvato da tante crisi di nervi nei confronti dei "grandi" che pungevano.
Se qualcosa di brutto succedeva attorno a lui cercava di allontanarsi; se qualcosa di bello succedeva attorno a lui cercava di avvicinarsi; se non succedeva niente non c’era motivo di cercare o di muoversi.
Infine: se non poteva muoversi, allora era meglio far finta che non stesse succedendo niente.
Quelle regole di vita, forse un po’ troppo lineari per i filosofi ma adattissime per tirare avanti, lo avevano accompagnato fin da quando aveva incominciato a capire il mondo.
Qualunque "cosa" lui fosse, era un dato di fatto che i "grandi" erano più grossi di lui e- quindi- che potevano fare quello che volevano molto più di lui.
Compreso il dargli del cibo.
E il bello era che glielo davando davvero, il cibo. Se a loro andava bene così, non sarebbe stato certo lui a cambiare le regole.
Micky Occhidolci non ci pensava neanche.
.
Quelle regole di vita gli erano state vicine durante la prima puntura che gli avevano fatto, durante il primo labirinto che aveva superato a colpi di scosse elettriche, durante ogni appetitoso pranzetto che gli veniva offerto. Lo avevano anche aiutato durante i suoi traslochi da un laboratorio all’altro, calma e tranquilla palla di pelo rimbalzata di gabbia in gabbia.
Beh, ad onor del vero, quest’ultimo passaggio ad una nuova prigione non lo aveva apprezzato particolarmente: troppi pochi labirinti e troppe punture; in più recentemente incominciava a invecchiare e non si sentiva esattamente in forma.
Una volta appurati questi fatti, però, Micky Occhidolci li aveva accettati tranquillamente.
Tanto poteva cambiarli? No.
Le sue regole gli erano anche vicine in adesso, mentre la temperatura si alzava veramente un po’ troppo e il fuoco serpeggiava allegramente nel laboratorio. Aveva visto l’esplosione, dall’altro lato della grande stanza, e vedere i "grandi" sbalzati contro il muro come mosche in balia del vento non gli era particolarmente piaciuto: quella poteva essere la classica situazione spiacevole da cui cercare di allontanarsi.
Dopo i primi, dubbiosi tentativi, aveva però accettato che la gabbia in vetro godeva invece di ottima salute e non aveva nessuna voglia di lasciarlo uscire, nemmeno per sbaglio.
Ergo, tanto valeva starsene tranquillo.
Il suo autocontrollo era stato messo duramente a prova quando una serie di piccole esplosioni più vicine avevano cadere la sua gabbia a terra, rompendola.
Micky Occhidolci aveva valutato la nuova situazione: se nella caduta si era fatto qualche piccolo taglio, la gabbia si era fatta più male di lui e adesso sembrava molto più propensa a concedergli la libertà.
Micky uscì.
Il fuoco non era piacevole neanche da lontano e l’aria era decisamente irrespirabile: le sue regole di vita non impiegarono molto a suggerirgli caldamente (molto caldamente) di allontanarsi.
Il topolino incominciò a scorrazzare cercando una via di fuga: accanto a lui altri animali di varia natura stavano cercando di fare più o meno la stessa cosa, più o meno nello stesso modo.
Lo sguardo di Micky fu rapito per un attimo dalla pittoresca, luminosa visione di una scimmia in fiamme che saltava fuori da una finestra rotta.
Lui da là non sarebbe mai uscito, quindi tanto valeva cercare altrove. Possibilmente in fretta e lontano dal fuoco che, piuttosto velocemente, si stava mangiando tutto lo spazio a disposizione.
La salvezza la trovò qualche stanza più il là: i detriti avevano creato una rudimentale rampa che permetteva anche a un essere della sua stazza di arrivare a una benedetta finestra.
Micky Occhidolci corse il più agilmente possibile tra fumo, schegge e fiamme, finchè l’edificio infuocato non fu solo un vago ricordo alle proprie spalle.
Ora, anche se la memoria dei topi non è quella degli elefanti, Micky corse abbastanza a lungo prima di riuscire a trasformare quel "calore", che aveva addosso ai peli bruciacchiati, in un vago ricordo.
Fermatosi, il topo crollò stremato a terra senza poter credere a quanto gli stava succedendo. Tutto il suo corpo tremava e si rifiutava di reggerlo in piedi. La testa gli girava vorticosamente mentre uno strano senso di nausea si sommava a un netto rifiuto dei polmoni di compiere doverosamente il loro lavoro.
La vecchiaia, maledetta vecchiaia- pensò vagamente Micky- La vecchiaia e quei tagli che adesso cominciavano a farsi sentire.
Ancora una volta, le sue regole corsero al suo capezzale: poteva muoversi? No: allora tanto valeva stare fermo e aspettare.
Micky non seppe mai quanto tempo aspettò, tra dormiveglia e sogni bui: i topi non sono particolarmente famosi per la loro abilità nel quantificare il passaggio del tempo. Fatto sta che,a un certo punto, sentì due mani afferrarlo con dolcezza e alzarlo da terra.
Micky non si fermò in considerazioni del tipo "troppo tardi" o "troppo presto": respirava ancora? Si. Allora era trascorso il tempo giusto: ne più, ne meno.
Il resto è filosofia.
Il topo, visto che poteva ancora farlo, aprì gli occhi e vide il "grande" più piccolo che avesse mai visto; vide anche che non avrebbe potuto liberarsi dal suo abbraccio e ricominciò ad aspettare.
Con un sospiro.
Adesso Micky stava decisamente meglio (per la cronaca erano passati tre giorni da quando il piccolo grande lo aveva trovato): aveva sempre dei problemi e i giramenti di testa non volevano abbandonarlo, ma i nuovi "grandi" gli avevano ridato una gabbia, del cibo tutti i giorni.
In più quando lo tiravano fuori non gli facevano più punture, lo accarezzavano soltanto... E anche quest’ultima cosa era notevolmente piacevole.
Il "grande" piccolo, che gli altri "grandi" chiamavano Manu, era poi particolarmente simpatico: quando lo tirava fuori Lo pettinava, lo baciava sul naso umido e lo strofinava con la propria testolina rosa. Davvero divertente.
Si: Micky era veramente soddisfatto di questa sua nuova collocazione e sperava proprio di poterci restare a lungo, possibilmente per tutta la vita.
Quello che Micky Occhidolci non sapeva era che non sarebbe rimasto li ancora per molto anche se, per dargli almeno in parte ragione, ci sarebbe rimasto comunque per tutta la vita.
I suoi giramenti di testa, tutti i suoi acciacchi che ultimamente provava, non erano dovuti alla vecchiaia. Micky Occhidolci, nel suo ultimo trasloco al laboratorio, quello pieno di punture e pochi labirinti, aveva fatto la cavia nel reparto farmaceutico malattie infettive.
Micky Occhidolci aveva la peste.
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