giugullare

il viaggio per cui si parte non è mai il viaggio da cui si ritorna

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detesto gli ingegneri

Wednesday, September 30, 2009

quel diverso nome della luce

Quante volte ho accarezzato il tuo nome
Come fosse la tua pelle
In attesa che, chissà come
Si schiudessero a me le stelle

Quante volte l’ho sussurato
Come zucchero tra i pensieri
Come acqua fresca sul peccato
Quante volte su questi sentieri

Su cui continuo a camminare
A volte in cerchio, a volte in tondo
Affondando in questo mare
È quasi dolce restare a fondo

Vorrei dirti che ti amo vorrei
Che mi manchi, se non ci sei
Sono come vento, tra le foglie
Ma a te non serve chi si scioglie

E si congela, come stagioni
Passate veloci o lente
Sulla mia pelle, come legioni
Sulle parole ormai spente

Con cui sussurro quel diverso nome della luce
Che porta a te, al tuo mare
Che riporta a me, solo la mia voce
E Dolce non m’è, il naufragare
No, dolce non m’è, li naufragare

Monday, September 28, 2009

la statua

pioveva, sulla statua. E la statua, conscia del proprio ruolo quanto un uomo del suo destino, resisteva stoica nella sua postura di speranza, sguardo rivolto al cielo e mano tesa ad abbracciare un qualche ideale di passaggio.
Non che ne passassero molti ultimamente. Sia chiaro.

Pioveva, sulla statua.
Non era un tempo per cristiani, quello; non era nemmeno un tempo per fedeli di altre religioni, o per animali. Il che lasciava il panorama piuttosto desolato, in quella piazza centrale di quella importante città.
Ma la statua, pietra piantata nella terra come un dente alla gengiva, offriva i suoi nobili lineamenti al nulla. Un'offerta va oltre chi la riceve: è un simbolo.
La statua offriva un ideale di nobiltà, fierezza, consapevolezza. Tutto attraverso i tratti. Ci sarebbe quasi dell'ironico in tutto questo, alla faccia di chi va affermando che l'apparenza non conta, che la superfice delle cose non è che l'involucro di ben più profondi segreti.
L'ideale, che la statua spargeva attorno a se con tanta generosità, volava per qualche metro, poi rotolava ancora un po più in la, fin quasi all'imbocco del viale alberato.
Poi rantolava e si fermava. Stanco e moribondo di non potersi aggrappare allo sguardo di nessuno per farsi trasportare un po più in la.
Ma alla statua, la strada che l'ideale poteva (o non poteva) fare interessava ben poco. Lei era ferma, conficcata li da quando era nata, per lei il movimento era inutile, così come lo era l'azione.
Tutte grandi balle, pensava fra se e se nelle lunghe ore di silenzio in cui i piccioni ritoccavano con "spruzzi di colore" i suoi lineamenti.
Chi avrebbe potuto darle torto?
Chiunque di noi, nato nella pietra, avrebbe difeso l'immobilità come la più grande espressione di umanità, ciò che realmente ci differenzia dagli animali. Da un essere in grado di creare la politica ci si può aspettare di tutto, ricordate.
Tornando alla statua (e alla pioggia), quella sera lei era abbastanza sorpresa. Anche un po scocciata, se vogliamo dirla tutta. C'era stato quel botto che l'aveva colpita, quel colpo, e lei ora si trovava inclinata. le lamiere dell'auto poco più in la.
Lei.
Lei che era nata per stare eretta, per indicare una via che non avrebbe mai percorso, era vergognosamente inclinata. Fuori rotta. La cosa più grave, poi, era che con quella pioggia nessuno si era ancora fatto vedere per sistemare l'ordine naturale delle cose.
Seccante.
La statua impostò il suo severo cipiglio ad un livello di serietà ancora più alto per criticare quell'indecenza.
In passato era già successo che qualcuno venisse a turbare il suo perfetto equilibrio. Alcuni vandali una volta le avevano staccato il naso con una pallonata; un'altra volta una scimmia vestita da uomo si era arrampicata sul suo braccio teso, spaccandolo.
Cose che capitano quando si ha a che fare con esseri che fanno del movimento la loro ragione di vita: lei lo aveva accettato. Se entri in un parco giochi pieno di bambini quando è appena piovuto è facile che tu ne esca infangato.
Quello che non le andava giù era che stavolta nessuno era venuto a vederla, nessuno era venuto a valutare la situazione. figuriamoci porvi rimedio.
Ed erano passati già due giorni abbondanti.
Va bene la pazienza, va bene la pioggia, va bene tutto...ma entro certi limiti.
La statua valutò la situazione (era bravissima nel valuare, non aveva fatto altro nella vita ed aveva scoperto che finchè alla valutazione non seguiva la verifica pratica, ogni valutazione era perfetta) e notò con netto disappunto che questa incuria, e soprattutto quella inclinazione, l'avrebbero presto fatta cadere.
Lei.
La statua degli ideali.
A terra.
Imperdonabile.
La piazza era vuota, non una sola anima. Anche le strade attorno erano vuote, in più era notte e tutte le finestre erano buie.
La statua sbuffò una volta mentalmente. Due. Tre.
Al quarto sbuffo arrivò alla decisione. Con un movimento fluido scese a terra, tra le macerie, raddrizzò la base di marmo del monumento e risalì.
Finalmente dritta.
Pronta di nuovo a dare il suo messaggio di valori a chiunque la vedesse.
Ara anche contenta, la statua, perchè muovendosi si era scrollata di dosso quella squallida cenere che continuava a piovere, da due giorni. Dal botto.
Adesso doveva solo più arrivare la gente, gli spettatori, e tutto sarebbe tornato come prima.
Pioveva, sulla statua. Pioveva cenere mentre nel cielo splendevano funghi di fuoco.
Nessuno sulla piazza.
Nessuno nelle strade attorno, nessuna luce nelle case.
Non era tempo per cristiani quello, non era tempo per uomini o animali.

Non più.

Monday, September 21, 2009

inizi, e fini

Ogni cosa che inizia ha una fine.
e' la regola. possiamo girarci intorno, ragionare. ma resta il fatto.
Ciò che inizia, finisce.
Sempre.
e la fine, se davvero di fine si tratta, è dolore.
Possono esserci gradi diversi, diverse forme. Diverse sfumature. Il termine, però, non cambia. Dolore.
Allora perchè iniziamo le cose? dal prendere un cane al dare la propria vita ad un'altra persona; se l'inevitabile è che anche quello, prima o poi, ineluttabilmete, finisca?
perchè la grazia che ci è stata fatta è di non essere consapevoli. Mai.
Viviamo il presente, l'attimo, con chiarezza più o meno lucida.
Ma il futuro è tutt'altra cosa: quando ci pensiamo, se va bene, abbiamo vaghe ipotesi di quello che succederà, di quello che Saremo Costretti a provare quando il futuro deciderà che è tempo di "fine".
Questo ci permette di buttarci nelle cose, come un giocatore incallito si butta nelle scommesse, certi che se mai perderemo, sarà dopo.
Nel frattempo giochiamo per vincere.
Eppure; è solo questione di tempo, tutti perdiamo.
e Ben venga questa cecità, questa allegra inconsapevolezza che permette alla vita di spingersi avanti, di avere un senso, di generare altre vite, arte, scienza.

Ora.
Pensate ad un essere condannato a ragionare per consapevolezza. Un essere condannato a vedere interamente il flusso di una propria azione, dall'inizio alla fine.
Condannato a provarne dettagliatamente emozioni, sensazioni, conseguenze,subito, anzi prima ancora di averla fatta.

Un essere in grado di travalicare il concetto di tempo, misericordiosa barriera messa tra la nostra anima e il dolore.

potremmo allora parlare di Dio, forse, ma non di un uomo.
perchè quell'uomo sarebbe il più triste maledetto del creato.

Friday, September 11, 2009

attimi

a volte mi nutro di attimi
altre,
gli attimi si nutrono di me,
uno dopo l'altro
li sento andar via sazi
pieni
gonfi.
e di me,
resta sempre un po di meno.