giugullare

il viaggio per cui si parte non è mai il viaggio da cui si ritorna

Name:

detesto gli ingegneri

Saturday, February 28, 2009

e.o.p.

Thursday, February 26, 2009

desi deri

desideri
pioggia sulla pelle
desideri
toccare le stelle

desidero volare
desidero tornare
spegnere il cielo
stare ad aspettare

desidero partire
lentamente svanire
toccare il cielo
e poi capire

desidero non far male
che tu mi conosca
che tu mi capisca
che pur diversa, tu sia uguale

desidero silenzi fatti di piume
gonfi di sonno, su cui posare
i miei pensieri, quel lento fiume
che mi attraversa e non so fermare

desideri
vabbè era per dire
desideri
vi porto a dormire

Wednesday, February 25, 2009

il dubbio




non so dove nasca il dubbio
non so dove nascono molte cose
non so nemmeno dove il dubbio muoia
forse, nel velo delle spose

ma so dove il dubbio vive
nudo nei tuoi occhi, senza scuse

il dubbio

Tuesday, February 24, 2009

desire

l’ultimo raggio di sole stava cercando di sopravvivere al morso delle vette innevate, ma stava palesemente perdendo la battaglia, inghiottito un secondo alla volta dietro le montagne.
L’uomo con il volante in mano pensò per un attimo che questo è un mondo materiale: la luce non potrà mai vincere sulla roccia. Poi, mentre il buio, morbidamente, cominciava ad avvolgerlo, accese i fari e tirò dritto per la sua strada.

L’uomo con il volante in mano non era un individuo particolare, non aveva particolari aspirazioni nè particolari motivazioni. Era l’uomo ideale per essere messo su dei binari e vivere tutta la vita senza lasciare la strada tracciata.

L’uomo con il volante in mano era un normalissimo dipendente. Meccanico, per l’esattezza.
Stava per diventare un assassino.

L’uomo in questione, che d’ora in poi per comodità chiameremo Mario, stava seguendo da quando era salito in auto un pericolosissimo filo di pensieri riguardanti incongruenze, piccoli gesti, qualche carattere buttato li su un cellulare.
Il suo cervello, durante tutto il viaggio, si era perso in un meandro di stradine tortuose, strette, buie.
Stradine fatte di pietra, circondate- anzi soffocate- da vecchissimi palazzi diroccati che chiudono la vista. Viottole che si ostinavano a girare attorno ad un concetto – CORNUTO- senza accennare a voler arrivare alla meta.

Mario non aveva nessuna voglia di arrivare alla meta, parliamoci chiaro. Arrivare alla meta, in quel maledettissimo caso, significava uscire dai binari, uscire di brutto. Significava che la via maestra non aveva più niente da insegnare, che era piena di buche, che l’illuminazione faceva schifo e che pure i cartelli erano sbagliati.

Intanto l’auto procedeva, accellerando silenziosamente, lentamente, come lo strisciare di un serpente. Sul parabrezza, attirati dalla luce, miriadi di insetti si schiantavano,altrettanto silenziosamente. La natura è famosa per la silenziosità delle sue stragi…così come il pensiero.

Cornuto. Cornutocornutocornuto. Cornuto, caprone, cervo, f.o.t.t.u.t.o.
Le mani stringevano il volante come fosse un collo a cui togliere il respiro, le nocche che quasi esplodevano, bianche, contro la pelle tesa.
Il respiro era veloce, basso, entrava dalla bocca e usciva dal naso come un filo che cuce due lembi di tessuto. Quel respiro si buttava nei polmoni per tirar su, ogni volta, un po di buio, un altro pezzo di quel bizzarro puzzle che si stava costruendo, veloce, brutale, nella testa del nostro povero Mario.

Lei. Bastarda. Come aveva potuto?

Mario, diciamocelo, non era un mostro di sicurezza. E gli uomini sono come gli edifici: il terremoto fa restare in piedi quelli più forti, le piogge fan cadere quelli più deboli. Mario era decisamente sul punto di crollare.

La notte avvolgeva la macchina allo stesso modo in cui una vecchia coperta viene tolta da un armadio e buttata sul letto, la radio ormai non diceva più parole, ma buttava addosso a mario solo più sensazioni, ritagli di cornici in cui appiccicare la foto di Lei…e l’altro.

“Cornuto”. Quella parola usci dalle labbra di mario in un soffio, al pari di una scorreggia in un luogo pubblico. Il cervello di mario tentò di rimangiarsela, aveva fatto troppo rumore, ma ormai era tardi. La parola volteggiò nell’abitacolo oziosamente, incurante di quanto accadeva attorno a lei, e si andò ad appoggiare sul vetro dell’auto, proprio all’altezza degli occhi.

“Cornuto”

Già ho una vita di merda- le labbra dell’uomo si arricciarono- mi spacco il culo da mattina a sera in mezzo ad un mucchio di idioti – le labbra dell’uomo si arricciarono peggio di tapparelle in una giornata di sole- torno a casa e vivo per lei…e lei..e quella…niente. Le parole si rifiutavano di dare il giusto colore a quel paesaggio di sabbia che cresceva dentro lui.

Un uomo non nasce con degli schemi, non è uno stampo che può dare un solo disegno, ne un seme che può generare un solo tipo di pianta. Un uomo è un’accozzaglia di fili, ingarbugliati, intortigliati, che poco per volta, cuciono qualcosa.
Un maglione, una sciarpa, una coperta (quante volte avete visto persone “coperta”) a volte, un santo.
Altre, un assassino.

Mario, ammettiamolo, non era nemmeno lontanamente imparentato con un filosofo. Il suo cervello ragionava al pari di un cane ben addestrato. Questo è giusto, quello è sbagliato. Qui lecca, li mordì. Qualche regola, poche domande, meno risposte e nessuna, assolutamente nessuna eccezione.
Volete un buon vigile? Mario era perfetto. Volete un ottimo impiegato del fisco? Ancora mario.
Volete far le corna al vostro marito (sedici anni di matrimonio santiddio!)? Mario era una pessima scelta (come marito).

L’omicidio, però, è una gran brutta bestia da maneggiare. Ti si rivolta contro, tira a graffiarti la coscienza, ha la pretesa di cambiarti la vita. Quindi Mario non aveva una pistola sul sedile a fianco. Aveva qualche scheggia di vetro, ma troppo piccole per ammazzare qualcuno.
Mario era sull’orlo di qualcosa di nero, di buio, torbido.
Dannatamente possente.
Mario era comunque ancora su solido terreno sull’orlo e, per ora, il vento non era fortissimo.

Ma.

Andiamo, non fate i sorpresi, lo sapevate tutti che ci saremmo arrivati al “ma”. Che razza di racconto è se non c’è un ma che si rispetti? Se il cornutone frigna un po, si fa due pippe mentali e poi volta la macchina e torna indietro?
Naaaa.
Non c’è gusto.

"Gusto di sangue!. Che schifo!"
Il cervello dell’uomo al volante urlò queste parole al nostro Mario che, avvilupato nella sua stagnola di pensieri si stava mordicchiando le labbra un po troppo decisamente. La lingua perlustrò diligentemente la superfice della bocca, per saggiare l’entità del danno. Da bravo muratore diede due colpetti qui, uno la, e valutò che le condizioni dell’immobile potevano essere peggiori. Mario inghiottì sangue e saliva, e buttò giù.

Mario, l’uomo che teneva il volante, aveva un suo piccolo, modesto, meschino piano di vendetta.
I vetri che facevano compagnia all’autista sull’altro sedile erano quel che restava del vetro infranto.
La macchina era quella del cornutatore-perché non esiste una parola per descrivere il generatore di corna, in italiano?, pensò una parte del cervello- e Mario aveva intenzione di schiantarla da qualche parte.

Qualcosa tipo tu mi fotti la moglie e io ti fotto l’auto…
…il che potrebbe dirla tutta sul modo in cui mario vedeva sua moglie…
…e sul perchè delle corna allegramente sbocciate sulla sua testa.

Non era qualcosa a cui aveva pensato, qualcosa di premeditato. L’abbiamo chiarito, no, che mario non era un genio? Lui si era limitato a seguire la moglie in auto. Si era limitato a guardarla scendere davanti a quel ristorante- andiamo, mica un motel, mica trombano- e, da buon cagnolino, si era limitato a guardare l’atro scendere dalla propria auto, cingerla attorno alla vita-la MIA VITA- e portarla dentro.
Porci.
Porci schifosi.

Quindi, dopo una attimo di vuoto, dolce, dolcissimo vuoto prima della consapevolezza, era sceso, aveva fracassato il vetro dell’altra auto, aveva fatto partire il motore (con un ghigno, era la prima volta che il suo lavoro gli tornava così utile) ed era andato via. Nella mente solo l’intenzione di sfasciargli la macchina. Come tornare alla sua, di auto, come arrvarci…tutto questo sarebbe successo dopo, e non aveva grossa importanza.
Nella sua vita, al momento, non c’era spazio per il dopo.

Quindi mario guidava, nocche bianche sul volante, vetri buoni buoni al fianco, e tanti bei pensieri a far compagnia.

Cornuto!
Perché io?
La velocità dell’auto aumentava.
Perché IO?
La strada si ostinava ad avere curve nonostante la velocità.
PERCHE’! IO!
La notte continuava a ribadire che il proprio colore era il buio, non la luce di quei pallidi fari.

STUNNNN!

Brutto, bruttissimo suono. Un suono che gli entrò nel cervello passando dalla lamiera alla pelle, dalla pelle al sangue.
Stunnn.
Mario inchiodò e l’auto, con il parabrezza decisamente scheggiato, con il muso leggermente contorto, brontolò un pò e poi si fermò.

Stunnn. Non poteva essere. Le mani non volevano più lasciare quel volante, non volevano permettere al resto del corpo di uscire dall’auto. Di dare una forma, “un corpo” a quel maledetto Stunnn.

Ma le mani, alla fine, restano serve.
Mario scese dall’auto. Le gambe non tremavano.
Non ancora almeno.
Fece due passi verso Miss Stunnn. Si fermò.
C’era…qualcosa, a terra. Qualcosa contorto, ripiegato su se stesso. Qualcosa inzaccherato di rosso, che stava lentamente sporcando la strada con una lenta, inesorabile, macchia scura.

C’era Stunnn.
E Stunnn fu quello che il vento è per l’uomo sopra l’abisso, fu il movimento che spinge il cane a mordere, fu il sipario che mette fine ad una vita.
E che, come sempre, da il via ad un’altra.

Mario non c’era più. L’uomo al volante non c’era più. C’era un animale, alla guida di un’auto scassata, con tre certezze in testa.

“stunnn non si sarebbe mai più rialzata”

“Io non arriverò a domattina”

“ricordo benissimo l’indirizzo del ristorante…”

La macchina sgommò. E ripartì.
La radio suonava “desire” di Ryan Adams.

L’animale ghignò.

Monday, February 23, 2009

in attesa. inattesa.

Ogni attesa, alla fine, porta ad un'altra attesa.
E' notte, ci sono alcune ore che passano di qua, tra le mie dita e i miei pensieri.
Non si fermano mai.

A volte rallentano, a volte vorrei farle rallentare di più. Altre volte corrono come avessero il diavolo alle spalle.
Un tempo mi voltavo a guardare. Cercavo quel maledetto diavolo, quel peccato imperdonabile, che non permetteva alle ore di tornare indietro.
Adesso non mi preoccupo più...non di questo, almeno.
non di questo.

Passata un'ora, ne arriverà un'altra. avrà le sue sorprese, le sue storie. Oppure passerà tutto il suo tempo a parlarmi delle sorelle già passate.
A volte passano ore piene di fretta, intente a raccontarmi delle figlie che arriveranno: come ogni mamma che si rispetti, me ne parlano sempre bene.
Fosse per loro, le mia vita sarebbe stata destinata al paradiso già un milione di volte.

A volte le ascolto, a volte no.
A volte loro ascoltano me.
Poi passano.
tutte.

Io faccio per alzarmi, andare a dormire, la notte è un po' più notte e l'alba un pò più vicina.
Prendo lei per mano, e andiamo un'altra volta a letto.
lei non passa mai.
lei.
l'attesa.

Thursday, February 19, 2009

i colori dell'autunno



l'autunno ha colori caldi

conquistati sul campo

l'autunno fa i respiri grandi

di chi ha preso le distanze dal tempo

Tuesday, February 17, 2009

se ma chissà

c'è sabbia. c'è silenzio. c'è attesa.
c'è tutto quanto, c'è la resa.

c'è il foglio bianco per parole
lettere a fianco che restano sole

c'è mare, c'è l'onda, c'è anche il piacere
c'è il passo sbagliato che porta il cadere

c'è un mondo intero fatto la fuori
da tante formiche dai piccoli cuori
che bevon rosari recitan liquori
accettano tutto, cercan dolori

c'è vuoto, c'è nero, c'è liquido scuro
serve anche quello per dar gloria al puro
servo anch'io, stanne sicuro
che bevo il presente fottendo il futuro

c'è un bel casino, niente da dire
c'è sempre un motivo per non partire
e restar fermi, c'è traffico, meglio aspettare
ma poi che volete, non son qui per restare

mi sento un cane con denti guasti
morderei tutto, salto troppi pasti
mi sento cattivo, lontano dai fasti
state alla larga e sperate che basti

prendete il bastone, datemi botte
quanto mordono le ossa rotte?
volete spiegazione, ve ne do a flotte
ma la verità chiedetemela di notte

anzi, facciam che vi fate i fatti vostri
non aprite porte da cui escono mostri
qui ci son artigli, unghie, è pieno di rostri
roba brutta, niente che dia lustri

alla vostra fame di sapere, di capire
non ho cibo che vi possa nutrire
non ci sono risposte pronte da offrire
ne gustosi segreti caldi da scoprire

c'è una bandiera che tenta di gestire il vento
domandandosi quando arriverà ciò che non sento
una ragione vera per accendere ciò che è spento
c'è solo sabbia, silenzio...e tutto così lento.

spero tu non legga cercando me tra le frasi
son solo parole, non son porte, nemmeno quasi
e non puoi aprirle per dettar le mie basi
parlan di me quanto dei fiori parlan i vasi

adesso va a dormire, è sempre la scelta migliore
lasciati andare, lascia che la mente riposi il cuore
oppure fai quel che vuoi, dal giusto all'errore
nulla è sbagliato, ogni cosa ha un colore

Monday, February 16, 2009

le parole


Le parole scendono come foglie
non è difficile piegarle alle proprie voglie
cadono dalla mente dritte alla luce
danno un tono a ciò che era solo voce

le parole, in fondo, sono pioggia
non posso far si che tutto piaccia
ma con le parole è un'altra cosa
brillano come gli occhi di una sposa

e così copro la vita di parole
come un ombrello copre pelle dal sole
no, non pensare, so che non ha senso
è tutto come fumo che sa di incenso

e si vanta di essere ciò che non è
ma è così facile, disegnare un altro me
più facile da spiegare, anche se poi non c'è
e vestirlo di parole, spogliando i tuoi perchè

le parole mi vestono come le foglie
vestono un albero pieno di voglie
di primavera, di estate, di vita
ma che resta fermo, ed è già finita

Sunday, February 15, 2009

profumo


Monday, February 09, 2009

r.h.p.s.

The darkness must go
down the river of nights dreaming
Flow morphia slow,
let the sun and light come streaming
Into my life, into my life

Friday, February 06, 2009

un po di rispetto

Se ne vantava, il bamboccio.

No, davvero, non so se rendo l'idea...si stava pavoneggiando. Bastardo!

Io stavo morendo e quel lurido, squallido bamboccio aveva stampato sulla faccia un francobollo di sorriso così largo da fare invidia a quello di un pagliaccio.

Bastardo.
Schifoso bastardo.


Il primo crampo mi scosse la pancia con la stessa allegria con cui un bambino butta via un brutto regalo. I conati di vomito si precipitarono nella mia bocca. Tossendo usci un bel fiotto di sangue.

E lui rideva.

Mi si avvicinò, piano, con calma. Io vedevo solo la punta delle sue rognose scarpe. Ne alzò una e mi prese a calci.
Cercai di afferrarlo con le braccia, ma ormai mi rispondevano meno di quanto un impiegato statale risponda al telefono. Mancai il bersaglio ed in compenso guadagnai una'altra bella fitta di dolore.
Tanto bibi.
Spuff. Altro calcio.
Spuff, spuff spuff spuff.


Alzai lo sguardo. Giuro che se mi fosse arrivato a portata di denti uno di quei rognosi piedi glielo avrei staccato a morsi. Alzai lo sguardo e la rabbia avvampò in mezzo al dolore scostandolo con la stessa delicatezza di un buttafuori che scosta la folla. Il bamboccio mi prendeva a calci...con le mani in tasca! Santoddio, stava prendendo a calci me, accidenti. Un minimo di rispetto!

Il bamboccio si stufò anche di prendermi a calci, si girò verso gli altri due o tre poppanti che si era portato dietro, alzò le spalle e allargò le mani.
“no!” pensai. “non farlo, non abbassarti”
che palle!
Che bibliche, gloriose palle! Riconoscevo quell'atteggiamento al primo avviso, ormai, e ne avevo la nausea.
Il bimbominchia cominciò a chinarsi verso di me.
Uff.
si aggiustò leggermente i pantaloni mentre si piegava sulle gambe, per portare la sua schifosissima faccia vicino alla mia.
Uff. ahi!
Scusate, altro crampo. Vengono sempre, sapete, quando vi beccate una pallottola in pancia. I vostri muscoli, come dire, si irritano non poco nel venire sfilacciati dal buco, e iniziano ad emettere segnali scandalizzati di indignazione al cervello.
Lui, per tutta risposta, pianta la spina nell'alta tensione e si mette a scaricare elettricità nei muscoli nella speranza di farli tornare in ordine.
E, in tutto sto casino, io avevo i crampi...e il pirla si era completamente chinato e stava cominciando a parlare. Lo sapevo!
Dio quanto odio le prediche quando sono in procinto di morte.
Bamboccio di merda.
Ai miei tempi lo avrei rinchiuso in una vergine di ferro fino a farlo dissanguare come un cinghiale.
A dire la verità, ai miei tempi non sarebbe nemmeno stato troppo corretto piantarmi una pallottola in corpo con un fucile di precisione, nascosti a centinaia di metri di distanza.
A dirla tutta, ai miei tempi neanche c'erano i fucili di precisione.


Il mio sangue si stava simpaticamente spaparazzando su quel pavimento lurido, peggio di una folla di turisti della domenica su una spiaggia pubblica. Frocetto intinse un suo dito pacioccoso nel liquido rosso e si mise a passarmelo sulla faccia. La predica dell'eroe intanto stava andando avanti a colpi di “è giunta la tua ora”, “non farai più niente a nessuno”, “sei un essere spregevole” eccetera eccetera.
Digrignai i denti. Mettilo a portata e ti faccio vedere come ti riduco quel cazzo di dito.
I crampi aumentavano di intensità. Brutto segno: sapevo che gli ultimi sarebbero stati dolorosi da bestia. Buon segno: sapevo anche che sarebbero stati gli ultimi, poi tutto sarebbe finito.

Però...porca eva che male.

Mentre il bla bla bla avanzava con la stessa baldanza del mio sangue sul pavimento, la vista perdeva i contorni delle cose. Strinsi gli occhi per cercare di mettere a fuoco quei pulcini. Adesso anche gli altri compagni si erano avvicinati all'eroe. Dio, che costumini ridicoli avevano addosso: erano una accozzaglia di vestiti da guerra comprati in qualche mercato dell'usato, forse c'erano anche due o tre giubbotti antiproiettile e qualche crocetta assortita.
Pagliacci. Avevano croci grosse come un pollice e fucili grossi quanto un elefante e non vedevano nemmeno la contraddizione che si portavano addosso come un mantello.
Avrei riso se non fossi stato così arrabbiato.

Crampo
Crampo crampetto crampo.
Credetemi. Morire può essere una gran seccatura. Ogni volta lo pensavo e ogni volta mi lo confermavo: non si muore mai troppo in fretta.
E, ovviamente, non si vive mai troppo a lungo.

Eroe mi prese la faccia tra le mani, con una certa rudezza. MI fissò negli occhi (sai che coraggio, avevo una fottuta palla di metallo negli intestini...mica aveva provato a farlo quando ero in forma) e mi sputò in faccia.
Mugolai.
Lui mi gettò la testa indietro, facendola battere sul pavimento. Io mugolai di nuovo.
Lui si alzò.
Fece cenno ad un altro coglione (quello con la croce più grossa di tutte) e questo gli passò una tanica. Benzina, probabilmente.
Merda, volevano pure bruciarmi. Se non mi svegliavo a morire rischiava di diventare davvero seccante.
Con l'ennesimo ghigno, bamboccio mi versò addosso il liquido, con gesti copiosi.
Alcool!?? Alcool! Deficenti. Stavano usando l'alcool.
Ma possibile che io mi trovi sempre ad aver a che fare con degli idioti? Usa qualcosa che abbia una parentela più stretta con il petrolio, qualcosa che ti si appiccichi addosso e ti scavi dentro mentre brucia.
No. Gli idioti avevano alcool...scommetto preso in un supermercato. Cosa volevano farmi?? cuocermi?

Crampo. Crampo, crampone, crampaccio schifosissimo.

Mi contorsi nel dolore. Strinsi con le mani la pancia e il suo buco. Non che servisse molto, ma non c'è niente da fare, l'uomo cerca sempre di afferrare qualcosa, siano concetti, materia, o quel che resta della vita.
Inutilmente.
Per come la vedo io non c'è una ragione superiore al nostro essere qui, ma non c'è ne nemmeno bisogno. Ci siamo? E allora diamoci da fare.
Punto.

Cicciobombo cannoniere con la tanica in mano mi ridestò dalle mie filosofie gettando con un tonfo la tanica a terra.
Crampaccio.
Ahi.
Non stavo ancora morendo e quello adesso avrebbe tirato fuori un accendino.
Che palle! Ma perchè la gente fa sempre le cose alla cazzo? Hai un fucile grosso come l'uccello di un negro, almeno usalo bene, prendi la mira!
no.
Proprio nella pancia dovevi spararmi, che ci metto un sacco a restarci?!

Oh, no. Il pagliaccio tirò fuori dalla tasca una sigaretta...no. No no no. tutto ma non questo. non questa cafonata!
(crampo. Crampaccio)
il pagliaccio si accese la sigaretta.
Perchè la gente vive sempre come se fosse in un film? Perchè? Poppanti!

Il sangue aveva smesso di scorrere, lo sentivo. (crampaccissimo-questo aveva fatto DAVVERO male)ero arrabbiato. Furibondo. Quella nullità stava di nuovo ridendo mentre prendeva la sigaretta accesa tra le mani.
La gettava.
Su di me.
E Sull'alcool.
Presi fuoco come un allegro cerino formato gigante.Faceva male. E la rabbia saliva, saliva mentre lui continuava a ridere.
La vista partì. Poi partì anche l'udito, tra le sue risa.

Poi
Finalmente
morii.

Alleluia! Era ora.

IL gruppo di uomini, il prete, il medico, e i tre ex soldati, restarono a guardare il corpo che bruciava anche dopo che ebbe smesso di contorcersi.
Rimasero un po delusi quando, dopo qualche minuto, smise di bruciare (grazie alcool) e si limitò a fumare emettendo un fetore tremendo.
Si tapparono il naso. Nessuno tra loro aveva sentito mai un simile odore nella vita, nemmeno il prete che aveva raggiunto comodamente i settanta. Nemmeno l'ex colonnello cinquantenne che da una vita varcava campi di battaglia e che ora stringeva con una sola mano il fucile di precisione.
Gli uomini si guardarono, il prete fece ancora un segno della croce, a mo di saluto, poi si voltarono per andarsene.

Fu allora che mi rialzai.
Incazzato come una biscia, nudo come un verme, e pieno di pezzetti di vestiti e pelle cotta che si staccavano dal corpo. Sono-siamo-fatti così: non siamo immortali, in realtà moriamo un sacco di volte. La figata e che appena morti riviviamo.

Mossi due o tre passi, mentre loro tornarono a guardarmi, per scrostarmi di dosso pelle e vestiti ormai vecchi. Sotto, nuova pelle, nuovi muscoli ed un corpo perfettamente in forma.

Questa volta erano vicini, non infrattati chissà dove a prendermi di mira con i loro fucili del benga, e non avrebbero avuto scampo. Ero più veloce, più forte, più “qualunque cosa” di tutti loro messi insieme.
Ed ero furioso.
Qualcuno lo sgozzai subito, ma prete e bamboccio col fucile li sballottai per un po prima di succhiarli.

Maledizione: dopo tutto sono un fottuto vampiro. Non sarò Dracula, ma merito un po di rispetto da dei poppanti!