giugullare

il viaggio per cui si parte non è mai il viaggio da cui si ritorna

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detesto gli ingegneri

Monday, October 01, 2007

io sono

Piangevamo. Come demoni.
Gridavamo. Come anime perdute.

Le nostre urla si laceravano nel vento come nuvole bianche tra gli artigli di una tempesta.

Morivamo.

Il fuoco divampava sui nostri corpi come la sete di peccato era divampata, per secoli, nelle nostre anime.

Cadevamo.

Ci guardavamo, l'uno gli altri, e la visione della reciproca sconfitta rendeva ancora più dolorosi quei momenti. La gloria che ci rivestiva, come un manto, ci veniva strappata di dosso come un vestito vecchio. Le lacrime, le nostre lacrime, si trasformavano in quella caduta in coltelli di ghiaccio, e tornavano su di noi come sciami di calabroni furibondi.

Lui, ed i suoi, ci guardavano dall'alto.

Un impeto di disprezzo, di furore, di furia, mi salì dal petto alla gola a quella vista: tanta indifferente comprensione da parte di essere inferiori...il mio urlo salì più in alto, nel tentativo di raggiungere gli irraggiungibili.
Mi lacerai la carne con le mie stesse mani, solcai questo corpo maledettamente debole, che si era rivelato un così fragile scrigno per i possenti desideri che albergano nella mia anima. Tesi le ali, contro quella tremenda spinta, contro quella irresistibile forza che mi spingeva in basso: i tendini, la carne, la pelle mi odiarono mordendomi di dolore, prima di spezzarsi, piegati ancora una volta ad un volere diverso dal mio.
Guardai i miei. I fieri. I forti. Eravamo migliori, dannatamente migliori: più completi, più vivi, più vicini a quanto lui aveva creato di quanto lui avrebbe mai potuto essere. Ogni loro sguardo era una spada pronta a colpire, ogni loro lamento una frusta...come, come potevamo essere stati sconfitti?
Nella caduta ci urtavamo l'un l'altro. La sete di furia era così maestosa da portarci quasi ad azzannarci a vicenda, non avendo altro sfogo in un nemico. Quello era il mio esercito, la falange di cui ero fiero. La legione che ora disprezzavo. Non si può avere compassione dei perdenti, non c'è gloria negli sconfitti. Afferrai chi era più vicino a me e lo spezzai come un rumore spezza un sogno. Il suo corpo gorgogliò, non morto, non vivo, in preda ad un dolore che non sarebbe svanito mai.
Lo gettai via, contemplando quasi di sfuggita la facilità di quel gesto. Ero il più grande, il più maestoso di tutti. La profondità del mio spirito era paragonabile solo a quella di un altro. Il mio corpo paragonabile solo al suo. Ma io ero meglio. Io non ero introspezione, eternità, infinito.
Io ero vita, passione, immediatezza. Io ero potere allo stato puro.
Ero perfetto.

E lo ODIO.
Mi ha mentito. Mi hai tradito.
Mi ha fatto credere che fossimo simili. Mi ha fatto credere fossimo fratelli.
Mi ha umiliato.
Mi ha lasciato illudere che potessi prendere il suo posto; che potesse esserci alternanza tra noi. Che nell'eternità ogni vertice possa alternarsi alla vetta. Non è mai stato così.
Nel momento dello scontro, solo allora, il tradimento si è rivelato. Come un padre, che gioca alla lotta con i figli, per tutto il tempo ha finto una parità inesistente e quando ha alzato la mano per colpire, la mia difesa si è rivelata quella di un cucciolo.
E adesso sono in caduta, lontano, via da lui, da quel suoi infinito perdono che non può essere perdonato; da quella comprensione che genera odio e meschinità. Via, altrove, strappandomi di dosso ogni cosa mi ricordi lui o la sua perfetta stirpe, strappandomi via il mio stesso corpo angelico, in cerca di qualcosa che negasse, che ripudiasse ogni sua immagine.

In caduta.

Meditando vendetta.

E mi vendicherò, oh, se mi vendicherò. Ho già in mente come.
Gli strapperò dalle mani quel suo giocattolino. Glielo corromperò, glielo rovinerò.
Glielo spezzerò.

Non ridere!

Povero, stupido, inutile demente! Credi di aver già capito tutto di me e di questo racconto, vero?
Insulso brandello di coscienza, mi fai schifo! Non sai niente a parte il mio nome!
Dove credi di esistere, anima perduta? Su un pianeta? Sulla terra, come la chiami tu?
Idiota.
Cosa credi che sia questa tua terra? Il posto in cui vivere in attesa di essere giudicato?
O magari sei...ateo?!
Insulso essere! Tu sei già stato giudicato, e sei stato trovato mancante!
Sei nell'unico posto in cui il tempo abbia una fine tra due infiniti di bene o male. Sei in una sacca di movimento tra due eternità, paradiso ed inferno. Sei in un posto in cui non siete tutti uguali, non dovete portare tutti le stesse croci e in cui non dovete restarci tutti per lo stesso tempo.
Pagliaccio, cominci a capire? No, certo che no, sei un figlio di adamo.
Tu sei già stato giudicato, e quello dove sei è il purgatorio, l'unico luogo del creato in cui il tuo tempo abbia una fine. Sei un'anima impura, piccolo insetto, e sei nella Sua lavatrice.
Niente terra, niente mondo, niente universo. Solo un brandello di tempo strappato all'eternità per lavarti i peccati tra sofferenze e prove: ecco dove sei.
E io corroderò ogni prova, infiammerò ogni peccato, ti distruggerò per far torto a Lui. Piccolo uomo, tu sei già mio, se sei li.

Tu sei un'anima impura.
Io sono il primo degli angeli.