l'ultimo pesce
“come no, stai sereno, tutto passa”
Mi tiro questa frase nel cervello come un boomerang in uno spazio chiuso.
Nessun effetto. Il cuore continua a battere come una mandria di cavalli in fuga. E l’aria si rifiuta di entrare nei miei polmoni, come se avesse paura di non uscirne più.
“come no, stai sereno.” “Tutto passa”.
La testa gira, i pensieri rosicchiano il cranio come pesci impazziti in un acquario. Mi schianto contro il muro. La spalla scricchiola. Il dolore fa fuggire i pesci, per un attimo.
“adesso muoio” Non so se sia speranza o terrore. Quel mondo non è più cosa mia.
“stai sereno. Stai sereno. Tutto passa”.
Non è poi così difficile accettare che tutto sia andato a puttane: i requisiti c’erano tutti.
Regola uno: sii lucido. Avevo ingoiato più di quanto una bottiglia potesse vomitare.
Regola due: Non pensare. La mia mente non aveva pensato. Diavolo, aveva urlato.
Regola tre: sii deciso. Ma più la guardavo, più la mia voce tremava.
Mi rimetto in piedi. Il girotondo ricomincia, e l’alcool che ho in corpo comincia a ringraziami per tutto quello spazio libero nello stomaco. Barcollo.
“Tutto passa. Stai sereno”
Respiro a fondo, facendo finta che quello che respiro non sia fumo, e butto tutto giù.
L’odore è quello acre di cose vive abbracciate dal fuoco. Cerco di non immaginarmi “chi” siano quelle cose. Diavolo.
Ma, adesso, non lei. Non Qui. Non così.
Lei mi viene incontro. -“non guardarla negli occhi”- ha le mani tese, a mezz’aria, leggere come steli –“non guardarla. Non guardarla”.
Io indietreggio. Cosa accidenti posso fare?
“stai sereno. Stai buono”
La gamba ancora buona mi molla all’improvviso, schioccando come un asciugamano bagnato nelle mani di un bambino. Crollo all’indietro ripiegandomi su me stesso, con un “uhfff” che si spegne a mezz’aria nel crepitio delle fiamme. La schiena cozza contro le lamiere dell’auto –bella macchina, solida, grossa, dannatamente veloce- e conferma la loro solidità nell’urto.
Per un attimo il dolore spegne le luci e una ridda di lucciole rosse vortica nei miei occhi mentre perdo i sensi. “fa che mi prenda adesso” penso con un’intensità bestiale.
Luce. Confusa. Confusione totale.
Il mio nome che galleggia in attesa di contenuti a cui aggrapparsi. Per un attimo sto quasi bene, non sapendo di stare male.
Poi la coscenza mi piove addosso tutta insieme, come se un qualche ubriaco avesse tirato lo scaquone nel mio cervello.
Urlo.
“stai sereno. Tutto passa” “Come no”
Lei, lei dov’è?
Mi volto a destra e a sinistra, per cercarla. Il collo accetta il compromesso e invece di rompersi si limita a bestemmiare. La vista intanto torna quasi perfettamente a fuoco.
Dov’è lei? Dov’è?
Schegge di vetro, a terra. Il fuoco le illumina. Non devo essere rimasto svenuto a lungo, quindi, se il fuoco brucia ancora. In più non c’è ancora nessuno di quelli che dovrebbero esserci.
Tra le schegge una mano. E’ piccola, è così dolce. Al dito manca un’anello. L’anello.
“stai sereno. Tutto passa”
Un rivolo di sangue è sceso tra quelle piccole dita. Ma ormai è fermo, immobile. Anche la mano non si muove. Io non alzo nemmeno lo sguardo per vedere il resto del corpo.
E morta. Lo So. Me lo dicono le lacrime che bruciano i miei occhi.
Ma non è lei che sto cercando.
Provo a voltarmi del tutto. Solo per accorgermi che ormai le gambe mi hanno mollato. Ne picchio una con un pugno. Non ho un motivo particolare. Mi va di picchiarla.
Dondolandomi, perdo l’equilibrio e rovesciandomi a terra mi giro. Tutto è ancora come prima.
Le lamiere dell’auto sono ancora al loro posto attorno al muro.
“ma chi diavolo avrà fatto questo cazzo di muro in mezzo al nulla” Penso, maledicendo il dio dei muratori e degli imbecilli (io rientro nella seconda). Un patetico, stupido, muro in mezzo a un prato. Un inutile muretto. Un maledettissimo muretto.
Ci stava uccidendo.
“Stai sereno”
Piango. Il torpore non ci pensa neanche a salire verso il mio stomaco, dopo aver avvolto le gambe. Anzi. Dall’inguine in su sta scalando la vetta un dolore cieco, cattivo, fatto di morsi alla carne e di denti freddi. Urlo di nuovo.
Dove diavolo è lei?
“Stai sereno, tutto passa”
Guardo il fuoco crepitare. E mi accorto che mi è partito anche l’udito: non sento alcun suono, alcun rumore.
Dov’è lei?
Svengo di nuovo.
Sono di nuovo sveglio. Vi risparmio la risalita dal buio. Immaginate cosa succede quando avete un incubo, vi svegliate all’improvviso, e poco per volta vi accorgete che era solo un sogno.
Adesso invertite il tutto: questo è quello che ho provato.
Lei è li. Di fronte a Me. Non ho ancora alzato lo sguardo, le guardo i piedi. Chissà perchè la immaginavo scalza.
Non si muove.
Adesso l’aria entra nei miei polmoni con un gorgoglio. Ho un qualche liquido in gola, penso.
Poi rido, sputando sangue. Che liquido posso avere in gola, se non quello? Che idiota!
Il dolore non è aumentato di molto. In compenso i pesci in testa stanno morendo uno ad uno. Salgono a galla lentamente, smettendola di agitare le acque.
Ne resta solo uno. Se solo non si muovesse in modo così confuso, capirei cosa vuol dire.
Non ricordo nemmeno più chi ha causato l’incidente. Io, la ragazza a cui appartiene quella dolce mano che rimarrà per sempre senza anello, qualcun’altro?
Non ricordo, e non ha grande importanza. Oppure si, è la cosa più importante del mondo...ma non ricordo lo stesso.
Piango. Anche la vista sta partendo.
Riesco a malapena a vedere quelle sirene che stanno illuminando la notte, avvicinandosi.
“Stai sereno. Tutto passa” “come no”
L’ultimo pesce nella mia testa sta rallenando. Sto per prenderlo quando tra le nebbie vedo che Lei si sta muovendo.
E’ un’illusione?
Cerco di mettere a fuoco: no, si sta muovendo davvero. Le vedo solo i piedi, ma si avvicinano.
Nemmeno troppo lentamente.
“stai sereno”
Il pesce è quasi fermo. Cosa vuol dirmi, cosa vuol dirmi? E’ tutto così silenzioso nell’oceano che ho in testa.
“prendile la mano”
Il pesce sbatte ormai solo mollemente la coda, mentre mi dice di prenderle la mano.
Io capisco. Forse urlo. Lei è sempre più vicina. Anche le sirene tentano di arrivare al traguardo, ma a naso penso che arriveranno al massimo seconde, se non più indietro.
“prendile la mano” “prendile la mano, prendilelamano”
Mi spingo verso quella dolce mano della ragazza nel finestrino. Pianto le unghie nella terra, nell’erba per fare quei pochi cenimetri che mi separano dalla mano.
Lei si avvicina ancora. Questa volta non si fermerà.
La coda del pesce sta rallentando. “PRENDILELAMANOPRENDILELAMANO”
La mia anima si conficca nella terra assieme alle mie dita.
La mia mano raggiunge quella della ragazza. Le si adagia sopra come una coperta su un corpo.
Quanto la amo. Quanto mi amava.
Adesso ricordo chi ha causato l’incidente. Ma non mi importa più.
Stringo la mano della mia ragazza.
Le sirene sono ancora distanti.
Lei, invece, mi ha raggiunto.
Sorrido, sono arrivato primo.
L’ultimo pesce smette di muoversi.
Mi tiro questa frase nel cervello come un boomerang in uno spazio chiuso.
Nessun effetto. Il cuore continua a battere come una mandria di cavalli in fuga. E l’aria si rifiuta di entrare nei miei polmoni, come se avesse paura di non uscirne più.
“come no, stai sereno.” “Tutto passa”.
La testa gira, i pensieri rosicchiano il cranio come pesci impazziti in un acquario. Mi schianto contro il muro. La spalla scricchiola. Il dolore fa fuggire i pesci, per un attimo.
“adesso muoio” Non so se sia speranza o terrore. Quel mondo non è più cosa mia.
“stai sereno. Stai sereno. Tutto passa”.
Non è poi così difficile accettare che tutto sia andato a puttane: i requisiti c’erano tutti.
Regola uno: sii lucido. Avevo ingoiato più di quanto una bottiglia potesse vomitare.
Regola due: Non pensare. La mia mente non aveva pensato. Diavolo, aveva urlato.
Regola tre: sii deciso. Ma più la guardavo, più la mia voce tremava.
Mi rimetto in piedi. Il girotondo ricomincia, e l’alcool che ho in corpo comincia a ringraziami per tutto quello spazio libero nello stomaco. Barcollo.
“Tutto passa. Stai sereno”
Respiro a fondo, facendo finta che quello che respiro non sia fumo, e butto tutto giù.
L’odore è quello acre di cose vive abbracciate dal fuoco. Cerco di non immaginarmi “chi” siano quelle cose. Diavolo.
Ma, adesso, non lei. Non Qui. Non così.
Lei mi viene incontro. -“non guardarla negli occhi”- ha le mani tese, a mezz’aria, leggere come steli –“non guardarla. Non guardarla”.
Io indietreggio. Cosa accidenti posso fare?
“stai sereno. Stai buono”
La gamba ancora buona mi molla all’improvviso, schioccando come un asciugamano bagnato nelle mani di un bambino. Crollo all’indietro ripiegandomi su me stesso, con un “uhfff” che si spegne a mezz’aria nel crepitio delle fiamme. La schiena cozza contro le lamiere dell’auto –bella macchina, solida, grossa, dannatamente veloce- e conferma la loro solidità nell’urto.
Per un attimo il dolore spegne le luci e una ridda di lucciole rosse vortica nei miei occhi mentre perdo i sensi. “fa che mi prenda adesso” penso con un’intensità bestiale.
Luce. Confusa. Confusione totale.
Il mio nome che galleggia in attesa di contenuti a cui aggrapparsi. Per un attimo sto quasi bene, non sapendo di stare male.
Poi la coscenza mi piove addosso tutta insieme, come se un qualche ubriaco avesse tirato lo scaquone nel mio cervello.
Urlo.
“stai sereno. Tutto passa” “Come no”
Lei, lei dov’è?
Mi volto a destra e a sinistra, per cercarla. Il collo accetta il compromesso e invece di rompersi si limita a bestemmiare. La vista intanto torna quasi perfettamente a fuoco.
Dov’è lei? Dov’è?
Schegge di vetro, a terra. Il fuoco le illumina. Non devo essere rimasto svenuto a lungo, quindi, se il fuoco brucia ancora. In più non c’è ancora nessuno di quelli che dovrebbero esserci.
Tra le schegge una mano. E’ piccola, è così dolce. Al dito manca un’anello. L’anello.
“stai sereno. Tutto passa”
Un rivolo di sangue è sceso tra quelle piccole dita. Ma ormai è fermo, immobile. Anche la mano non si muove. Io non alzo nemmeno lo sguardo per vedere il resto del corpo.
E morta. Lo So. Me lo dicono le lacrime che bruciano i miei occhi.
Ma non è lei che sto cercando.
Provo a voltarmi del tutto. Solo per accorgermi che ormai le gambe mi hanno mollato. Ne picchio una con un pugno. Non ho un motivo particolare. Mi va di picchiarla.
Dondolandomi, perdo l’equilibrio e rovesciandomi a terra mi giro. Tutto è ancora come prima.
Le lamiere dell’auto sono ancora al loro posto attorno al muro.
“ma chi diavolo avrà fatto questo cazzo di muro in mezzo al nulla” Penso, maledicendo il dio dei muratori e degli imbecilli (io rientro nella seconda). Un patetico, stupido, muro in mezzo a un prato. Un inutile muretto. Un maledettissimo muretto.
Ci stava uccidendo.
“Stai sereno”
Piango. Il torpore non ci pensa neanche a salire verso il mio stomaco, dopo aver avvolto le gambe. Anzi. Dall’inguine in su sta scalando la vetta un dolore cieco, cattivo, fatto di morsi alla carne e di denti freddi. Urlo di nuovo.
Dove diavolo è lei?
“Stai sereno, tutto passa”
Guardo il fuoco crepitare. E mi accorto che mi è partito anche l’udito: non sento alcun suono, alcun rumore.
Dov’è lei?
Svengo di nuovo.
Sono di nuovo sveglio. Vi risparmio la risalita dal buio. Immaginate cosa succede quando avete un incubo, vi svegliate all’improvviso, e poco per volta vi accorgete che era solo un sogno.
Adesso invertite il tutto: questo è quello che ho provato.
Lei è li. Di fronte a Me. Non ho ancora alzato lo sguardo, le guardo i piedi. Chissà perchè la immaginavo scalza.
Non si muove.
Adesso l’aria entra nei miei polmoni con un gorgoglio. Ho un qualche liquido in gola, penso.
Poi rido, sputando sangue. Che liquido posso avere in gola, se non quello? Che idiota!
Il dolore non è aumentato di molto. In compenso i pesci in testa stanno morendo uno ad uno. Salgono a galla lentamente, smettendola di agitare le acque.
Ne resta solo uno. Se solo non si muovesse in modo così confuso, capirei cosa vuol dire.
Non ricordo nemmeno più chi ha causato l’incidente. Io, la ragazza a cui appartiene quella dolce mano che rimarrà per sempre senza anello, qualcun’altro?
Non ricordo, e non ha grande importanza. Oppure si, è la cosa più importante del mondo...ma non ricordo lo stesso.
Piango. Anche la vista sta partendo.
Riesco a malapena a vedere quelle sirene che stanno illuminando la notte, avvicinandosi.
“Stai sereno. Tutto passa” “come no”
L’ultimo pesce nella mia testa sta rallenando. Sto per prenderlo quando tra le nebbie vedo che Lei si sta muovendo.
E’ un’illusione?
Cerco di mettere a fuoco: no, si sta muovendo davvero. Le vedo solo i piedi, ma si avvicinano.
Nemmeno troppo lentamente.
“stai sereno”
Il pesce è quasi fermo. Cosa vuol dirmi, cosa vuol dirmi? E’ tutto così silenzioso nell’oceano che ho in testa.
“prendile la mano”
Il pesce sbatte ormai solo mollemente la coda, mentre mi dice di prenderle la mano.
Io capisco. Forse urlo. Lei è sempre più vicina. Anche le sirene tentano di arrivare al traguardo, ma a naso penso che arriveranno al massimo seconde, se non più indietro.
“prendile la mano” “prendile la mano, prendilelamano”
Mi spingo verso quella dolce mano della ragazza nel finestrino. Pianto le unghie nella terra, nell’erba per fare quei pochi cenimetri che mi separano dalla mano.
Lei si avvicina ancora. Questa volta non si fermerà.
La coda del pesce sta rallentando. “PRENDILELAMANOPRENDILELAMANO”
La mia anima si conficca nella terra assieme alle mie dita.
La mia mano raggiunge quella della ragazza. Le si adagia sopra come una coperta su un corpo.
Quanto la amo. Quanto mi amava.
Adesso ricordo chi ha causato l’incidente. Ma non mi importa più.
Stringo la mano della mia ragazza.
Le sirene sono ancora distanti.
Lei, invece, mi ha raggiunto.
Sorrido, sono arrivato primo.
L’ultimo pesce smette di muoversi.