giugullare

il viaggio per cui si parte non è mai il viaggio da cui si ritorna

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detesto gli ingegneri

Friday, May 20, 2011

tratto da: "diario di un altro me"

"...C’è stato un tempo in cui tutto era scoperta, un tempo piccolo, lontanto, fatto con parti di giocattolo.
Un tempo timido, leggero come velieri volanti.
Un tempo di scoperta tale e tanta, che la scoperta era l’essenza stessa dell’esistere.

Poi è arrivato il tempo delle cadute.
Cadevano i miti, crollava inpietoso babbo natale, sotto il peso di regali mai portati. Era un tempo glorioso come solo le grandi distruzioni sanno essere. L’io volava, circondato da valchirie, sopra un cielo in fiamme distruggendo castelli, principesse, maghi e draghi.
Era il tempo delle certezze sul NO.
“So che non esiste. So che non c’è. So che tutto quanto è qui, e ha più spigoli che colori.”
Era un tempo necessario per portare il bambino fuori dalle fiabe, nel mondo dei numeri arrugginiti.
Non puoi portare un coniglio fuori dalla sua tana. E’ molto più facile portarlo allo scoperto se si crede leone in grado di poter distruggere tutto.
Gran tempo quello della distruzione. Banchettavo nel valhalla ordinando il cibo direttamente ad Odino. Loki mi chiedeva di insegnargli dei trucchi e sigfrido…vabbè sigfrido ha sempre avuto un carattere tutto suo, se ne stava in disparte lamentandosi che l’erba gli aveva rovinato la vita, soprattutto le foglie.

E’ passato anche quel tempo. L’essere, l’io, ha scoperto che anche distruggendo tutto non si è invulnerabili. Che le ferite continuano ad esserci.
Che il corpo non è l’unica cosa capace di sanguinare e che l’anima, come la peggiore delle cortigiane, sa esser e tanto impalpabile quanto totalizzante a seconda dell’umore.

Infine è arrivato il tempo del N.m.C.
Nirvana made in Cina. Un’astrazione a basso costo dalle cose, già viste, già fatte, già dette, in cui la polvere regnava sovrana nelle cantine dell’anima e io frequentavo solo più due o tre stanza al piano terra.
Quello è stato un tempo lungo, lento, pastoso e polveroso. Aveva il suono del respiro di un vecchio, di mobili che si assestano nella notte. Il sapore di una forchetta tenuta troppo a lungo sulla lingua.

Ci si abitua ad un tempo del genere, sai? Non contiene grossi dolori, perché tutti i dolori che ha in serbo per te non son più sorprese. Non nasconde grosse passioni perché è troppo stanco per raccontartele a dovere.
Si comporta di più come un vecchio amico, un po sfigato, che ti porta sempre nello stesso posto a bere una birra non particolarmente cattiva. Stesse facce al bancone. Stesso disco in sottofondo.

Oggi quel benedetto disco ha fatto un salto.
Niente di eccezionale, intendiamoci.
Un piccolo salto.
Piccolissimo.
Ma si nota, se quella canzone la conosci ormai a memoria. Quel salto, quelle poche note mancate ti si attaccano all’orecchio come un cane al freesbee, come la testa di uno più alto di te si attacca alla poltrona davanti alla tua al cinema.

Ora sono al bancone. Birra nn troppo cattiva, non troppo calda, in mano.
E il mio vecchio amico sfigato continua a raccontarmi le solite cose. Ma nn riesco più ad ascoltarlo completamente. Mi accorgo che con l’orecchio ritorno a quel salto.
Ne aspetto un altro.
Magari due o tre.
Chissà che sta palla di canzone non si blocchi una buona volta e arrivi qualcosa di nuovo?

A sorprendermi.

Sorprendentemente.