L’uomo VariabileSeguiva con lo sguardo quella figura, l’uomo. Scolpiva le curve di quel corpo, il suo movimento, nella memoria. Sentiva i colpi del cuore, ad ogni martellata assestata alla roccia dentro di se, per imprimere quei momenti.
Non la conosceva, non l’aveva mai vista prima. Ne era rapito.
Il ghiaccio nel suo bicchiere, lentamente, stava morendo. L’alcool perdeva il proprio spirito, con imperturbabile indifferenza, mentre i minuti svestivano la notte, in quel locale in quella città.
Lui, l’uomo variabile, deglutì.
Lei continuava il suo ballo, avvolta nel buio, coperta di musica, senza nemmeno accorgersi di quell’estraneo. L’ultimo pezzo di ghiaccio si sciolse alle lusinghe del tempo.
L’uomo variabile allungò la mano, sempre senza staccare gli occhi da quella donna, e prese il bicchiere. Il freddo del vetro lo portò per un attimo alla realtà, con un brivido.
Manuela si voltò verso l’uomo variabile, sorridendo. Continuando a ballare. Si avvicinò lentamente- lui era seduto- e tentò per l’ennesima volta di trascinarlo in pista. Lui ricambiò il sorriso con calore, mentre il bicchiere nella sua mano tremava leggermente, e per l’ennesima volta declinò l’invito: le sue doti di ballerino erano paragonabili a quelle di un branco di orsi.
Si lasciò andare con un sospiro di piacere e complicità contro lo schienale della poltrona, mentre lei si voltava e tornava a plasmare l’aria con i propri movimenti. L’uomo variabile si sorprese a fissare Manuela con un misto di stupore e paura: dopotutto erano colleghi da tempo e ci sono linee che non conviene superare.
Linee maledettamente sottili, nel buio di quella sera. Linee infide, difficili da notare, piene di promesse.
L’uomo variabile sospirò nuovamente, accettando tra se e se la decisione di limitarsi a abbracciare Manuela con lo sguardo. Portò il suo Moijto alle labbra brindando impercettibilmente alle linee.
Il liquido era freddo, ma di ghiaccio nemmeno più una traccia. Con un sottile brivido di piacere, nella calura del locale, l’uomo variabile si concentrò sulla realtà, abbandonando i sogni.
Manu ballava di fronte a lui, e lui l’amava. Ne era rapito come un bambino al suo primo incontro con il mare. La guardava muoversi, seguiva il ritmo di quelle spalle nude e si sentiva vivo. I loro sguardi si incrociavano nella penombra del locale, gli occhi di lei gli sorridevano, e ogni volta lui sentiva il suo cuore trattenere il fiato. L’uomo variabile sorrise.
Era felice, si stava gustando quegli attimi di pace come un gatto accanto alla stufa. La sua anima si arrotolò su se stessa, facendo le fusa. Manu ballava per lui.
Lei si avvicinò, cercando di trascinarlo in pista. Arrivò come la marea, al rallentatore, travolgendolo poco alla volta con la sua presenza. Le mani si strinsero e lui si trovò sollevato, privo di peso, avvolto dalla musica e dalla magia di quella donna.
La melodia tracciava solchi nell’aria in cui i loro corpi scivolavano, naturalmente, sfiorandosi, salutandosi. L’uomo variabile sentiva il calore della sua compagna sotto le dita, il vigore di quel giovane corpo tra le sue braccia: il suo cuore martellava in petto il ritmo della vita.
Avvicinò le labbra a quelle di lei, in quella meravigliosa realtà.
La guancia di Manu era fredda, mentre la mano dell’uomo variabile la accarezzava in quel bacio. Lui staccò lentamente le labbra dalle sue, e uno sbuffo di vapore continuò a legare le due bocche finchè la notte non lo fece crollare, fragile ponte tra due universi.
L’aria era fredda, anche se ormai aprile era alle porte, e il loro respiro danzava di fronte ai loro volti prima di fuggire. Aveva piovuto, le strade della città erano prati in fiore sotto le luci colorate dei neon. Manu rabbrividì leggermente stringendosi la giacca addosso e cercando riparo tra le sue braccia. L’uomo variabile la accolse - avrebbe creato il sole per quella donna, la sua compagna- e riprese a camminare. I due corpi erano stretti l'uno all'altro e le ombre fuse in un’unica immagine. Manu continuava a tremare, come se il suo corpo ricordasse un calore improvvisamente cessato, e anche l’uomo variabile si trovò a rabbrividire, sorprendendosi di sentirsi sudato. Non aveva senso: avevano camminato tutta la sera, è vero, ma l’aria era fredda.
Un velo di consapevolezza offuscò per un attimo gli occhi dell’uomo variabile, ma fu un istante infinitesimale, come un gemito nel sonno, e poi svanì. Qualcosa dentro di lui fece male, e l’uomo variabile corse a cercare gli occhi di Manu. Erano il suo Porto Sicuro in questa vita.
Manu alzò la testa dall’alcova di calore in cui si era rannicchiata nel cappotto di lui, e gli sorrise con gli occhi. La mente dell’uomo variabile si avvolse in questa realtà.
Stavano camminando da un po’, Manuela leggermente avanti a lui, e presto sarebbero arrivati alla macchina. Sarebbero arrivati all’alba. Manuela stava parlando, lui ascoltava la sua voce pensando a quanto era bella e cercando di non inciampare in quella linea costantemente presente, proprio adesso, a un passo dalla fine.
L’uomo variabile sospirò tra se e se. “E' una collega. È una collega. È una collega.” Il suo cervello continuava a ripetere queste parole come un telefono occupato. Guardò quella donna, di cui in fondo sapeva così poco, e si domandò quanto sarebbe stato bello dare del tu alla sua anima.
Un refolo d’aria più fredda entrò in gola all’uomo variabile, trasformando il sospiro il un lieve colpo di tosse. Manuela si voltò a guardarlo. A guardare un collega che aveva tossito, e l’uomo variabile respirò a fondo per digerire la realtà.
L’aveva seguita a poca distanza, quasi vergognandosi di se stesso. Non aveva idea di chi fosse quella ragazza, ma non riusciva a staccarsene. Era come se il motivo della sua vita, fino a quella sera canticchiato sottovoce, fosse improvvisamente stato suonato da un’orchestra intera. L’uomo variabile sentiva armoniche, melodie secondarie, ritmi di sostegno con una chiarezza che sembrava onirica. La sua vita gli si spiegava di fronte agli occhi con l’energia di un’alba nel deserto.
Grazie a lei.
La ragazza arrivò ad un incrocio e svoltò a sinistra, semplicemente. L’uomo variabile era alcuni passi indietro, sul marciapiede. Il non vederla, anche solo per alcuni istanti, sembrò soffocarlo: accellerò il passo.
Nella città aveva appena smesso di piovere. Un’ultima goccia, staccatasi forse dal cielo, forse da un più modesto tetto, si librò nell’aria per l’ultimo volo e si schiantò come un bacio imprevisto sulla fronte dell’uomo variabile. Era ghiacciata quanto una realtà innegabile.
L’uomo variabile arrivò ad un incrocio, nella notte, voltò a sinistra ma si fermò quasi subito.
La strada era deserta di fronte a lui e l’uomo variabile si domandò dove stesse andando, perché fosse li. Guardò da un lato e dall’altro, ma non c’era nessuno in quella strada anonima.
Fece per girarsi ma il movimento tardava ad arrivare: era come se una parte della sua anima si stesse straziando all’idea di cambiare direzione, di abbandonare quell’incrocio.
L’uomo variabile sospirò, si sentiva stanco, infinitamente stanco.
Poi, uno dei due piedi tradì l’altro e si mosse. L’incantesimo finì, senza lasciare traccia, come l’alone del fiato su un vetro freddo.
L’uomo variabile si allontanò nella notte, invariabilmente solo, stringendosi addosso il cappotto.
Per un attimo gli sembrò che profumasse di donna. Poi arrivò il vento.