giugullare

il viaggio per cui si parte non è mai il viaggio da cui si ritorna

Name:

detesto gli ingegneri

Thursday, March 30, 2006

colui per cui

il vecchio era vecchio
stanco non lo era stato mai
strano uomo, strano specchio
pieno di immagini che io non saprei

il vecchio amava ascoltare
tutto, niente, non gli importava
il mondo, una foglia, magari per ore
poi mi guardava. E a volte diceva

"conserva i tuoi silenzi
rendili forti. Rendili tuoi.
Per quando non serviranno parole
Per dire ciò che sei"

il vecchio aveva un cane
che non lo ascoltava mai
non era mai stato un padrone
"Non lo sono" diceva " e non lo vorrei"

il vecchio credeva nella libertà
nella ricerca dei propri perchè
non fidarti di chi non crede nella verità
e in silenzio cercava di liberare anche me

"conserva i tuoi silenzi
rendili forti. rendili tuoi.
Per quando non serviranno parole
per dire ciò che sei"

il vecchio adesso non c' è più
il suo cane è andato con lui
ora davanti a me ci sei solo tu
e in silenzio ti parlo di noi

finchè la pioggia

fermo ad ascoltare,
io incantato piccolo giullare,
ogni singolo istante che tu mi dai
finchè la pioggia parlerà di noi

fermo ad aspettare
il tempo raccoglierà parole
dividendo i sempre dai mai
finchè la pioggia parlerà di noi

il silenzio sarà neve
il respiro brezza lieve
fermo, cullando i pensieri tuoi
finchè la pioggia parlerà di noi

nella terra ogni goccia
porterà le parole della pioggia
nasceranno fiori col profumo che tu hai
finchè la pioggia parlerà di noi

finchè la pioggia parlerà di noi
resterò incantato ad ascoltare
quando la pioggia finirà, sai
non resterò ad aspettare
che un’altra pioggia parli di noi
ma correrò, finchè non ti saprò trovare
perchè, amore, solo tue le parole
sono la pioggia che vorrei

finchè la pioggia

fermo ad ascoltare,
io incantato piccolo giullare,
ogni singolo istante che tu mi dai
finchè la pioggia parlerà di noi

fermo ad aspettare
il tempo raccoglierà parole
dividendo i sempre dai mai
finchè la pioggia parlerà di noi

il silenzio sarà neve
il respiro brezza lieve
fermo, cullando i pensieri tuoi
finchè la pioggia parlerà di noi

nella terra ogni goccia
porterà le parole della pioggia
nasceranno fiori col profumo che tu hai
finchè la pioggia parlerà di noi

finchè la pioggia parlerà di noi
resterò incantato ad ascoltare
quando la pioggia finirà, sai
non resterò ad aspettare
che un’altra pioggia parli di noi
ma correrò, finchè non ti saprò trovare
perchè, amore, solo tue le parole
sono la pioggia che vorrei

foglie e radici

Tra nuvole rosa e nere, spiove

Il cielo intero acceso, si muove

Accanto all’uomo lei cammina

La luce dell’alba si avvicina

L’acqua a terra guarda in alto

Mai più un altro grande salto

L’acqua a terra trema un poco

L’ha sfiorata il vento, forse è un gioco

Il bambino guarda serio sua madre

Affronterà chi se preso suo padre

Vorrebbe dirle con voce sicura

Che signora morte non gli fa paura

Tra nuvole spente e accese, spiove

Sotto le nuvole, quante cose nuove

L’uomo suo a lei piano si avvicina

Si schiude come un fiore la mattina

L’acqua a terra se ne sta andando

L’erba a terra sta ricrescendo

Diventerà alta, giocherà le sue carte

Nel vento sarà mare, noi le sue barche

Il bimbo fissa serio l’angolo scuro

Il suo angelo vicino lo rende sicuro

E poi, la luce è accesa poco più in la

L’aveva accesa quel chi chiamava papà

Tra le nuvole e i grandi sogni, spiove

Lì, nel mezzo, nulla si muove

La mano dell’uomo stringe quella di lei

La pioggia lava ciò che non sei

Il sole splende sui campi di fuoco

Il grano già giallo, sarà d’oro tra poco

Verrà la raccolta, i forni da scaldare

Sarà nuovo pane, pronto da spezzare

Il bimbo crescerà, in ogni domani

Lei ci sarà, dentro il cuore e nelle mani

Resteranno le paure, di notte come ladre

Ma nasceranno figli, e lui rinascerà padre

l'amore malato

Più volte ho pensato
A cosa dirti del cuore
Qualche discorso sensato
Che chiarisse l’amore

Nessuno ne ha parlato
Quando ero io a sentire
Mi han detto tante cose
Ma c’era poco da capire

Erano frasi stonate
Come valanghe di vetri
Gesta di cavalli, cavalieri
L’amor di santi, l’amor di preti

Ed ora che tocca a me raccontare
Mi spiace, non so che dire
E ora che tocca a me far sognare
Quando vorrei solo poter dormire

E tu mi guardi e resti in attesa
Che mi muova, che faccia qualcosa
E non capisci, non puoi capire
Quanto lontano io veda la sposa

E tu mi guardi, resti in attesa
Che mi avvicini, ti faccia mia
Quando l’unica, l’unica cosa
Che voglio è andare via

Piangerai tu, piangerò io
Tu per amore, io per dolore
Di non poter, non saper amare
Desiderar la notte, e tu sei il sole

un gioco

Posa il vento
Distante un canto
Su rose di pietra
Spinose di pianto

Ride la sera
Sul mondo distante
Fatto di preghiera
A di una notte amate

Le candele comari
Parlano sotto il fuoco
Sepolto sotto i mari
Resta solo il gioco

specchio

Passavo, accanto
Allo specchio di roccia
Nulla dell’incanto
Mi resta sulla faccia

Il tempo passato
Non parlava di niente
E già affaticato
Camminava il presente

Avviandosi lento
Verso il già detto
Reggendosi a stento
A quanto già letto

Della mia storia
Sullo specchio di roccia
Niente amore ne gloria
Niente, Neanche una goccia

Passavo accanto
Allo specchio ormai spento
Una volta c’era un canto
Ma ormai solo più vento

Ora

Ora che il tempo è passato
Ora che il lento è andato
Nessuno balla con me
Ballo solo coi miei perché

Ora che il vento s’è abbassato
Ora che il silenzio è tornato
Nessuno, nessuno parla con me
Nessuno, nessuno come te

Ora che la sera è scappata via
Ora che c’è lei a casa mia
Guardo dalla finestra nascosto
Un’altra vita, dove non ho posto

Bacerei il vento
Quando porta il tuo profumo
Col cuore lo sento
In questo mondo di fumo

Ora che la gente mi circonda
E la notte si finge profonda
Penso al tuo corpo lontano
Non stringerò mai la tua mano

Ora che tutto è finito
Senza essere mai cominciato
Mi sento leggero, una foglia
Volo, ma non ne ho voglia

Ora che il cielo si apre sicuro
Volo via, torno all’oscuro
Di una vita già impegnata
Di una promessa nata sbagliata

Bacerò il vento
Se porterà la tua voce
Ci vorrà del tempo
Poi, si spegnerà anche la luce

strada

Capo chino e storto
Passò l’ingiustizia
Coperta di stracci e ricordi
Mordi cane, mordi

Piegando le spalle
Passò il soldato
Lunga la strada stretta la via
Dalla sua la malinconia

Chinando lo sguardo
Passò il peccatore
Pieno di progetti per il futuro
E in tasca niente di sicuro

Passò anche il tempo
Senz’altro fare
Passò e non diede scampo
Al grano e a chi aveva il campo

Passò il ricordo
Le emozioni sotto braccio
E neanche un vestito addosso
Nudo fino all’osso

Petto in fuori
Passò il peccato
Poi, non appena passato
Brontolò, “come, già finito?”

Passai anch’io
Capo chino e sguardo basso
Ma non mi accorsi di passare
convinto d’aver qualcosa da fare

nien'altro

La vita può portare in molti posti
castelli incantati, miniere e birrerie
angoli di mondo ormai smussati
dove la gente è narrata da poesie

Il tempo può far conoscere molti volti
brutti , belli, unici o forse soli
su alcuni lo sguardo si posa. su altri il cuore
e sta ad ascoltare. prima che il tempo voli

E io mi trovo sempre qui
tanta strada, quanti passi, nessun posto
ed io mi trovo sempre qui
tante storie, tante fini, nessun costo

La gente può far capire molte cose
è una scusa per non capire se stessi
troppo ingombrante troppa verità
e allora via, dietro noi solo altri passi.

Le donne sanno più di quanto dicono
e dicono più di quanto dovrebbero dire
a volte rovinano tutto solo per ricostruire
altre volte perche non c' è altro da fare

E io mi trovo sempre qui
tanta strada tanti passi nessun posto
e io mi trovo sempre qui
tante storie, tante fini, nessun costo.

L' amore a volte a due volti , due voci
a volte non ne ha nessuno, e non parla mai
non so quanti volti abbia il mio. forse nemmeno uno
o forse si. e quanto ti vorrei.

Wednesday, March 29, 2006

tanto per dire: ipse dixit.
E aggiungerei tartaten. una fetta.

l'uomo variabile

L’uomo Variabile

Seguiva con lo sguardo quella figura, l’uomo. Scolpiva le curve di quel corpo, il suo movimento, nella memoria. Sentiva i colpi del cuore, ad ogni martellata assestata alla roccia dentro di se, per imprimere quei momenti.

Non la conosceva, non l’aveva mai vista prima. Ne era rapito.
Il ghiaccio nel suo bicchiere, lentamente, stava morendo. L’alcool perdeva il proprio spirito, con imperturbabile indifferenza, mentre i minuti svestivano la notte, in quel locale in quella città.

Lui, l’uomo variabile, deglutì.

Lei continuava il suo ballo, avvolta nel buio, coperta di musica, senza nemmeno accorgersi di quell’estraneo. L’ultimo pezzo di ghiaccio si sciolse alle lusinghe del tempo.

L’uomo variabile allungò la mano, sempre senza staccare gli occhi da quella donna, e prese il bicchiere. Il freddo del vetro lo portò per un attimo alla realtà, con un brivido.

Manuela si voltò verso l’uomo variabile, sorridendo. Continuando a ballare. Si avvicinò lentamente- lui era seduto- e tentò per l’ennesima volta di trascinarlo in pista. Lui ricambiò il sorriso con calore, mentre il bicchiere nella sua mano tremava leggermente, e per l’ennesima volta declinò l’invito: le sue doti di ballerino erano paragonabili a quelle di un branco di orsi.
Si lasciò andare con un sospiro di piacere e complicità contro lo schienale della poltrona, mentre lei si voltava e tornava a plasmare l’aria con i propri movimenti. L’uomo variabile si sorprese a fissare Manuela con un misto di stupore e paura: dopotutto erano colleghi da tempo e ci sono linee che non conviene superare.
Linee maledettamente sottili, nel buio di quella sera. Linee infide, difficili da notare, piene di promesse.

L’uomo variabile sospirò nuovamente, accettando tra se e se la decisione di limitarsi a abbracciare Manuela con lo sguardo. Portò il suo Moijto alle labbra brindando impercettibilmente alle linee.
Il liquido era freddo, ma di ghiaccio nemmeno più una traccia. Con un sottile brivido di piacere, nella calura del locale, l’uomo variabile si concentrò sulla realtà, abbandonando i sogni.

Manu ballava di fronte a lui, e lui l’amava. Ne era rapito come un bambino al suo primo incontro con il mare. La guardava muoversi, seguiva il ritmo di quelle spalle nude e si sentiva vivo. I loro sguardi si incrociavano nella penombra del locale, gli occhi di lei gli sorridevano, e ogni volta lui sentiva il suo cuore trattenere il fiato. L’uomo variabile sorrise.
Era felice, si stava gustando quegli attimi di pace come un gatto accanto alla stufa. La sua anima si arrotolò su se stessa, facendo le fusa. Manu ballava per lui.
Lei si avvicinò, cercando di trascinarlo in pista. Arrivò come la marea, al rallentatore, travolgendolo poco alla volta con la sua presenza. Le mani si strinsero e lui si trovò sollevato, privo di peso, avvolto dalla musica e dalla magia di quella donna.
La melodia tracciava solchi nell’aria in cui i loro corpi scivolavano, naturalmente, sfiorandosi, salutandosi. L’uomo variabile sentiva il calore della sua compagna sotto le dita, il vigore di quel giovane corpo tra le sue braccia: il suo cuore martellava in petto il ritmo della vita.
Avvicinò le labbra a quelle di lei, in quella meravigliosa realtà.

La guancia di Manu era fredda, mentre la mano dell’uomo variabile la accarezzava in quel bacio. Lui staccò lentamente le labbra dalle sue, e uno sbuffo di vapore continuò a legare le due bocche finchè la notte non lo fece crollare, fragile ponte tra due universi.
L’aria era fredda, anche se ormai aprile era alle porte, e il loro respiro danzava di fronte ai loro volti prima di fuggire. Aveva piovuto, le strade della città erano prati in fiore sotto le luci colorate dei neon. Manu rabbrividì leggermente stringendosi la giacca addosso e cercando riparo tra le sue braccia. L’uomo variabile la accolse - avrebbe creato il sole per quella donna, la sua compagna- e riprese a camminare. I due corpi erano stretti l'uno all'altro e le ombre fuse in un’unica immagine. Manu continuava a tremare, come se il suo corpo ricordasse un calore improvvisamente cessato, e anche l’uomo variabile si trovò a rabbrividire, sorprendendosi di sentirsi sudato. Non aveva senso: avevano camminato tutta la sera, è vero, ma l’aria era fredda.
Un velo di consapevolezza offuscò per un attimo gli occhi dell’uomo variabile, ma fu un istante infinitesimale, come un gemito nel sonno, e poi svanì. Qualcosa dentro di lui fece male, e l’uomo variabile corse a cercare gli occhi di Manu. Erano il suo Porto Sicuro in questa vita.
Manu alzò la testa dall’alcova di calore in cui si era rannicchiata nel cappotto di lui, e gli sorrise con gli occhi. La mente dell’uomo variabile si avvolse in questa realtà.

Stavano camminando da un po’, Manuela leggermente avanti a lui, e presto sarebbero arrivati alla macchina. Sarebbero arrivati all’alba. Manuela stava parlando, lui ascoltava la sua voce pensando a quanto era bella e cercando di non inciampare in quella linea costantemente presente, proprio adesso, a un passo dalla fine.
L’uomo variabile sospirò tra se e se. “E' una collega. È una collega. È una collega.” Il suo cervello continuava a ripetere queste parole come un telefono occupato. Guardò quella donna, di cui in fondo sapeva così poco, e si domandò quanto sarebbe stato bello dare del tu alla sua anima.
Un refolo d’aria più fredda entrò in gola all’uomo variabile, trasformando il sospiro il un lieve colpo di tosse. Manuela si voltò a guardarlo. A guardare un collega che aveva tossito, e l’uomo variabile respirò a fondo per digerire la realtà.

L’aveva seguita a poca distanza, quasi vergognandosi di se stesso. Non aveva idea di chi fosse quella ragazza, ma non riusciva a staccarsene. Era come se il motivo della sua vita, fino a quella sera canticchiato sottovoce, fosse improvvisamente stato suonato da un’orchestra intera. L’uomo variabile sentiva armoniche, melodie secondarie, ritmi di sostegno con una chiarezza che sembrava onirica. La sua vita gli si spiegava di fronte agli occhi con l’energia di un’alba nel deserto.
Grazie a lei.
La ragazza arrivò ad un incrocio e svoltò a sinistra, semplicemente. L’uomo variabile era alcuni passi indietro, sul marciapiede. Il non vederla, anche solo per alcuni istanti, sembrò soffocarlo: accellerò il passo.
Nella città aveva appena smesso di piovere. Un’ultima goccia, staccatasi forse dal cielo, forse da un più modesto tetto, si librò nell’aria per l’ultimo volo e si schiantò come un bacio imprevisto sulla fronte dell’uomo variabile. Era ghiacciata quanto una realtà innegabile.

L’uomo variabile arrivò ad un incrocio, nella notte, voltò a sinistra ma si fermò quasi subito.
La strada era deserta di fronte a lui e l’uomo variabile si domandò dove stesse andando, perché fosse li. Guardò da un lato e dall’altro, ma non c’era nessuno in quella strada anonima.
Fece per girarsi ma il movimento tardava ad arrivare: era come se una parte della sua anima si stesse straziando all’idea di cambiare direzione, di abbandonare quell’incrocio.
L’uomo variabile sospirò, si sentiva stanco, infinitamente stanco.
Poi, uno dei due piedi tradì l’altro e si mosse. L’incantesimo finì, senza lasciare traccia, come l’alone del fiato su un vetro freddo.

L’uomo variabile si allontanò nella notte, invariabilmente solo, stringendosi addosso il cappotto.
Per un attimo gli sembrò che profumasse di donna. Poi arrivò il vento.