giugullare

il viaggio per cui si parte non è mai il viaggio da cui si ritorna

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detesto gli ingegneri

Tuesday, July 22, 2008

l'uomo che camminava


Camminava.


L'uomo camminava.

Non immaginatevi un particolare sfondo al suo cammino, non immaginatevi nemmeno una strada.
Non c'era niente attorno a lui. Sabbia, forse; forse polvere. Quando si entra in dettagli così piccoli, l'animo umano tende a confondersi: cerca sempre grandi cose. Come l'uomo con le tette.


Camminava. L'uomo camminava.

Non immaginatevi l'uomo: ve lo descrivo io. Chiaro di pelle, scuro di animo. Occhi chiari, pensieri cupi, e qui è doverosa una precisazione: gli occhi sono lo specchio dell'anima, e come ogni specchio riflettono solo la superfice delle cose.
Chiamatela pure apparenza.


Per quanto l'uomo potesse essere alto, per quanto la sua età lo definisse ancora giovane, era piegato, quasi storpio, come se la testa fosse un pesante ingombro che trascinava in basso tutto il resto del corpo.

Anche i passi dell'uomo non erano convinti. Potremmo definire il loro incedere come quello delle dita di uno scrittore mediocre sulla macchina da scrivere, quando quello stramaledetto paragrafo non vuol proprio prendere forma.
Anche la direzione dell'uomo non aveva forma.


Un osservatore più attento di me potrebbe anche dire che il piede sinistro era trascinato con più fatica dell'altro. Un osservatore osserva.
Un maestro di vita avrebbe insegnato che quella gamba non riusciva ad allinearsi alla massa, e accettava il suo ruolo a fatica. Un maestro insegna...spesso ciò che non sa fare.
Un dottore, più prosaicamente, avrebbe diagnosticato un problema di postura, o un trauma precedente, o una malformazione, o semplice stanchezza, o una malattia autoimmune di origine tropicale, senza ovviamente escludere cause eriditarie. Un dottore ipotizza probabilità, non offre certezze.
Un poeta avrebbe pianto il peso del cuore, che spezzato gravava troppo su quella gamba. La poesia offre sempre soluzioni affascinanti dall'utilità pari all'usare un bisturi per mangiare un gelato.
Se qualcuno avesse chiesto all'uomo, e lui avesse avuto la bontà di rispondere, avrebbe saputo che era semplicemente un sasso dentro la scarpa, sotto il piede.
L'uomo non lo voleva togliere, nulla lo interessava tranne l'andare avanti. Nemmeno i perchè.


Un refolo di vento scompigliò i capelli, pochi, dell'uomo. Non volevo scriverlo, ma prima o poi nelle storie tristi il vento si introduce sempre. Il vento è per la solitudine quello che una mano è per chi è in compagnia: un compagno di viaggio, una carezza, una coccola.

Peccato che poi tu ti accorga che alla fine, è solo vento.

L'uomo non fece una piega di fronte alla coccola del vento, camminava e basta, dicevamo. Il vento non la prese benissimo, e come ogni amante offesa, da gatta si trasformò in tigre rabbiosa.
Soffiò, urlò, graffiò quella figura ammantata di vuoto che camminava. La rallentò, in un primo tempo; la fece barcollare; arrivò quasi a fermarla, al culmine della sua furia.


Poi si accorse che puoi fermare un pensiero, puoi fermare una speranza, puoi fermare un ideale, un sogno, qualunque cosa dia segni di vita. Non puoi fermare il niente, il vuoto.
L'uomo continuò a camminare, e il vento si fermò alle sue spalle a giocare con la sabbia, se non più interessante, sicuramente più divertente.


L'uomo camminava; arrivò l'acqua e lui camminò; arrivò la neve, il ghiaccio, venne pure sua maestà re sole, secco, giallo, torrido.
L'uomo rabbrividì, scivolò, sudò...ma continuò a camminare.


Trovò anche un saggio, nel suo cammino, il quale, compresa con uno sguardo tutta la sua storia, previde che un simile gesto dovesse essere dettato da una volontà interiore fortissima, da un alto, divino ideale. Ovviamente ogni saggio che si rispetti ha il suo buon stuolo di seguaci, sufficientemente stupidi per pensare di poter vivere la propria vita con i pensieri di un altro.

(Voi vi mettereste le mutande sporche di un altro o preferireste indossarle pulite e poi, eventualmente, sporcarle voi?... Ah, si? Ok, in fondo è un mondo abbastanza libero, e probabilmente siete più grossi di me.)

Comunque, tornando al nostro camminatore, al saggio e ai seguaci, questi ultimi, presi dalla visione mistica del loro guru, cominciarono a seguire lo sconosciuto che, fregandosene beatamente di loro quanto se ne fregava del sassolino nella scarpa e del vento, continuò a camminare.

A questo punto devo- sono proprio costretto- inserire nella storia triste ma maestra di vita la figura retorica del bambino che nella sua innocenza ne sa più del saggio eccetera eccetera.

L'uomo che camminava passò accanto ad un moccios-pardon, bambino. Passò lui e passò lo stuolo di scimmie al seguito, ciascuna con la propria visione di quella camminata metafisica.
Il bimbo guardò la carovana silente, li vide passare, li vide allontanarsi. E non disse una beneamata parola. Perchè, nonostante i filosofi/poeti insistano nel piantare a scalpellate saggezza in esseri che hanno vissuto meno di dieci anni, un bambino è un idiota in miniatura, come è giusto che sia.
Quindi, sempre beatamente in silenzio, il bambino si volse, si mise le mani in tasca e tirò fuori undici euro e settanta centesimi, pensando abbastanza gaiamente che con un minimo di fortuna quel giorno si sarebbe comprato un bel gioco di seconda mano per la play tre.


Liberatomi della figura retorica del saggio infante, e avendo ridotto la trama all'osso- un uomo cammina ostinatamente senza un apparente motivo- adesso dovrei avviarmi alla conclusione.

Teoricamente potrei ancora inserire l'incontro rivelatore o il personaggio onniscente, ma quel giorno i personaggi carismatici erano in sciopero per qualche nobile motivo riguardante le royalty e nel deserto, più che sabbia non incontri.
Tecnicamente, la sabbia rivela poco. Al massimo ti dice che non è polvere, ma questo ci riporterebbe ad inizio storia.


Quindi, niente di trascendente capitò all'uomo. Lui continuò a camminare, senza motivo, senza apparente ragione e, semplicemente, prima o poi, morì.

Ad un certo punto crollò a terra, le gambe che ancora debolmente tentavano di muoversi, ed esalò un ultimo, inutile, respiro.
Nell'aria, per un attimo, risuonarono le parole della canzone “se telefonando”.
In realtà non c'entra granchè con la storia, ma se dio può creare l'ornitorinco, non vedo perchè io, nel mio piccolo, non posso scrivere assurdità.


L'uomo morì. Morì di stanchezza, morì alla fine spezzato dal dolore come un parabrezza ucciso da una crepa, morì semplicemente di fame? Questo, forse, ha importanza per chi resta, raramente invece riveste un qualche valore per il diretto interessato.

Quindi l'uomo morì senza spiegarci perchè, portando con se il suo grande piccolo segreto, il suo dolore, il suo senso di aver sbagliato tutto e di non avere più tempo per correggere gli errori. Morì interrompendo comunque un cammino, per quanto privo di senso potesse apparire agli occhi degli altri. Morì senza dare spiegazioni a chi vedeva nei suoi gesti qualcosa di troppo grande e morì senza avere spiegazioni da chi, con tutta la sua anima, sperava fosse più grande di lui e ogni tanto rispondesse alle invocazioni.

L'uomo morì.

La folla degli idioti che lo aveva seguito, più o meno dall'inizio della narrazione, restò ancora un attimo ad interrogarsi su quell'uomo. Alcuni diedero addirittura la risposta giusta, ma non ne ebbero mai la certezza.
per un attimo alcuni si sentirono persi: tutti, nella vita, prima o poi sentono la tentazione di seguire qualcun altro.


Poi, chi prima chi dopo, tutti quelli che avevano seguito l'uomo nel suo cammino tornarono ai loro problemi, alle loro lotte, alla loro vita.

Anche voi.

Sipario.