l'omicida innocente
Il vento non era così forte da portare via le foglie agli alberi, figuriamoci se aveva la forza di strappare i pensieri dalla mente dell'uomo.
I pensieri- pensava l'uomo- sono malattie tanto quanto il cancro, l'ulcera, un'influenza trascurata.
I pensieri lo stavano schiacciando, lentamente, inesorabilmente.
Il rumore non fu assordante. Non fu neanche lontanamente paragonabile all'importanza del momento.
L'uomo azzardò qualche passo, ne incerto, ne sicuro, più per il bisogno di non stare fermo che per l'esigenza di andare da qualche parte. Il vento lo lasciò fare.
I pensieri lo seguirono in religiosa processione.
I passi divennero a poco a poco più decisi, più convinti. Poco alla volta i passi divennero una direzione. Per i passi, tutto sommato, la vita non era così complicata: ci si allontana, ci si avvicina, finchè si è in movimento non c'è verso di restare insieme. Quando si è troppo vicini, quando si è insieme, ci si ferma.
O si perde l'equilibrio.
La pistola, La Rivoltella- così la chiamava sempre suo nonno- decisamente non aveva niente a che spartire con il concetto di equilibrio, ed il fatto che fosse stretta nella mano dell'uomo, obiettivamente, non era un buon segno.
Ora, senza troppo filosofeggiare, i motivi per cui una pistola si trova in una mano anziché in un posto con meno dita e con più saggezza non sono molti. O ti vuoi sparare, o vuoi sparare a qualcuno. O vuoi fare tutte due le cose, necessariamente con un ordine preciso. Stop. Punto. Tutto il resto è accademia.
Il fatto che a terra ci fosse un corpo- attenzione: un corpo, non più una persona- dava molta forza alla seconda ipotesi. Potremmo sindacare a lungo su chi era quel corpo, su cosa rappresentava per l'uomo, o se il mondo ne avrebbe sentito la mancanza...potremmo, ma non servirebbe a molto a questo punto. C'era sangue.
Il sangue sembrava riluttante ad uscire da quel corpo. Giocherellava attorno alla pelle, al foro (piccolo, preciso, bruciato) senza però accennare ad allontanarsi. Sangue giovane, senza dubbio, Sangue inesperto e non del tutto convinto che fosse una buona cosa essere "fuori" anzichè "dentro".
Ma comunque sangue.
“L'ho ucciso- pensavano i pensieri dell'uomo- l'ho ucciso e lui è morto” I pensieri erano così forti, i concetti che partorivano così boriosi, che dalla testa conquistarono ogni cosa fino alle mani, facendole tremare. Probabilmente questo assaggio di potere affascinò i pensieri, perchè raddoppiarono l'intensità delle emozioni ed il tremito arrivò alle gambe con la violenza di una cassa di bottiglie piene di latte che cade per una scala. Le gambe franarono sul mondo.
Ovviamente la testa, che gli stolti insistono a definire elemento dominante del corpo, seguì senza profferir parola il destino degli arti “inferiori” e l'uomo si trovò a terra.
Violentemente.
Il tonfo sull'asfalto quasi non fu avvertito dall'uomo, che non aveva fatto nemmeno il gesto con le mani di pararsi. L'essere con la pistola in pugno restò per qualche istante a terra, scomposto, quasi nella caricatura della propria ombra in una giornata di sole basso. Le ondate di pensieri lo travolgevano come infiniti mari parlando di morte, di vita, di cambiamento. In mezzo a quel folle turbinio di concetti, troppo grandi per un essere destinato a diventare polvere, qualcos'altro iniziò ad emergere.
Gioia.
L'uomo si aggrappò a quella sensazione come un bambino alla coperta. Si rialzò con una certa eleganza, guardò, per la prima volta dopo lo sparo, il cielo.
La pistola rimase a terra come un'amante tradita.
“Ora sono libero- tuonavano i pensieri- ora posso scegliere”. Le lacrime si commosero a tal punto da quelle dichiarazioni, che si tuffarono sul viso dell'uomo nel più dolce dei suicidi.
Il sorriso si stagliava netto.
I pensieri cominciarono un rutilante carosello di immagini, di visioni del futuro, vivo, bellissimo, di assoluta proprietà dell'ex uomo con la pistola.
L'esaltazione era massima, sublime, quando infine accadde.
Vedete, l'uomo a terra era esattamente uguale a quello in piedi. Non sto parlando di fratelli, di gemelli. Erano lo stesso uomo.
Dicevo: l'esaltazione era sublime quando infine accadde.
Era l'esaltazione di un uomo che può uscire dalla propria vita, dalle proprie responsabilità, dai propri sbagli. La sensazione di essere liberi nel senso più profondo. Liberi di ricostruire, di riprovare, di ripartire senza debito alcuno con la vita già vissuta. Liberi di illudersi di non dover più venire a patti con i propri sogni troppo presto.
Si. Decisamente l'esaltazione era sublime quando accadde. L'uomo in piedi, e con lui tutti i suoi pensieri, entrambe le sue gambe, l'unico suo sorriso, crollarono a terra.
Il tutto mentre il sangue, finalmente, cominciava a sgorgare dal corpo ucciso ed il vento continuava tranquillamente ad infastidire le foglie.
Non si può uccidere se stessi e sperare di sopravvivere.
I pensieri- pensava l'uomo- sono malattie tanto quanto il cancro, l'ulcera, un'influenza trascurata.
I pensieri lo stavano schiacciando, lentamente, inesorabilmente.
Il rumore non fu assordante. Non fu neanche lontanamente paragonabile all'importanza del momento.
L'uomo azzardò qualche passo, ne incerto, ne sicuro, più per il bisogno di non stare fermo che per l'esigenza di andare da qualche parte. Il vento lo lasciò fare.
I pensieri lo seguirono in religiosa processione.
I passi divennero a poco a poco più decisi, più convinti. Poco alla volta i passi divennero una direzione. Per i passi, tutto sommato, la vita non era così complicata: ci si allontana, ci si avvicina, finchè si è in movimento non c'è verso di restare insieme. Quando si è troppo vicini, quando si è insieme, ci si ferma.
O si perde l'equilibrio.
La pistola, La Rivoltella- così la chiamava sempre suo nonno- decisamente non aveva niente a che spartire con il concetto di equilibrio, ed il fatto che fosse stretta nella mano dell'uomo, obiettivamente, non era un buon segno.
Ora, senza troppo filosofeggiare, i motivi per cui una pistola si trova in una mano anziché in un posto con meno dita e con più saggezza non sono molti. O ti vuoi sparare, o vuoi sparare a qualcuno. O vuoi fare tutte due le cose, necessariamente con un ordine preciso. Stop. Punto. Tutto il resto è accademia.
Il fatto che a terra ci fosse un corpo- attenzione: un corpo, non più una persona- dava molta forza alla seconda ipotesi. Potremmo sindacare a lungo su chi era quel corpo, su cosa rappresentava per l'uomo, o se il mondo ne avrebbe sentito la mancanza...potremmo, ma non servirebbe a molto a questo punto. C'era sangue.
Il sangue sembrava riluttante ad uscire da quel corpo. Giocherellava attorno alla pelle, al foro (piccolo, preciso, bruciato) senza però accennare ad allontanarsi. Sangue giovane, senza dubbio, Sangue inesperto e non del tutto convinto che fosse una buona cosa essere "fuori" anzichè "dentro".
Ma comunque sangue.
“L'ho ucciso- pensavano i pensieri dell'uomo- l'ho ucciso e lui è morto” I pensieri erano così forti, i concetti che partorivano così boriosi, che dalla testa conquistarono ogni cosa fino alle mani, facendole tremare. Probabilmente questo assaggio di potere affascinò i pensieri, perchè raddoppiarono l'intensità delle emozioni ed il tremito arrivò alle gambe con la violenza di una cassa di bottiglie piene di latte che cade per una scala. Le gambe franarono sul mondo.
Ovviamente la testa, che gli stolti insistono a definire elemento dominante del corpo, seguì senza profferir parola il destino degli arti “inferiori” e l'uomo si trovò a terra.
Violentemente.
Il tonfo sull'asfalto quasi non fu avvertito dall'uomo, che non aveva fatto nemmeno il gesto con le mani di pararsi. L'essere con la pistola in pugno restò per qualche istante a terra, scomposto, quasi nella caricatura della propria ombra in una giornata di sole basso. Le ondate di pensieri lo travolgevano come infiniti mari parlando di morte, di vita, di cambiamento. In mezzo a quel folle turbinio di concetti, troppo grandi per un essere destinato a diventare polvere, qualcos'altro iniziò ad emergere.
Gioia.
L'uomo si aggrappò a quella sensazione come un bambino alla coperta. Si rialzò con una certa eleganza, guardò, per la prima volta dopo lo sparo, il cielo.
La pistola rimase a terra come un'amante tradita.
“Ora sono libero- tuonavano i pensieri- ora posso scegliere”. Le lacrime si commosero a tal punto da quelle dichiarazioni, che si tuffarono sul viso dell'uomo nel più dolce dei suicidi.
Il sorriso si stagliava netto.
I pensieri cominciarono un rutilante carosello di immagini, di visioni del futuro, vivo, bellissimo, di assoluta proprietà dell'ex uomo con la pistola.
L'esaltazione era massima, sublime, quando infine accadde.
Vedete, l'uomo a terra era esattamente uguale a quello in piedi. Non sto parlando di fratelli, di gemelli. Erano lo stesso uomo.
Dicevo: l'esaltazione era sublime quando infine accadde.
Era l'esaltazione di un uomo che può uscire dalla propria vita, dalle proprie responsabilità, dai propri sbagli. La sensazione di essere liberi nel senso più profondo. Liberi di ricostruire, di riprovare, di ripartire senza debito alcuno con la vita già vissuta. Liberi di illudersi di non dover più venire a patti con i propri sogni troppo presto.
Si. Decisamente l'esaltazione era sublime quando accadde. L'uomo in piedi, e con lui tutti i suoi pensieri, entrambe le sue gambe, l'unico suo sorriso, crollarono a terra.
Il tutto mentre il sangue, finalmente, cominciava a sgorgare dal corpo ucciso ed il vento continuava tranquillamente ad infastidire le foglie.
Non si può uccidere se stessi e sperare di sopravvivere.
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